Sos da Valle: vita nei prefabbricati
tra disagi e promesse mancate

Sos da Valle: vita nei prefabbricati tra disagi e promesse mancate
di Antonello Plati
Venerdì 12 Aprile 2019, 12:00
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«Avevano detto che ci davano una casa nuova perché queste le buttavano giù. È venuto anche il sindaco, ce l'ha promesso. Ma poi non ci hanno fatto sapere più niente». Pino Pirone vive nei prefabbricati pesanti di Valle da più di vent'anni. Nel suo appartamento, all'ultimo piano di una palazzina che cade a pezzi, sono in sette. «Fino a un paio di mesi fa racconta stavamo nel portone di fronte. Quello era un tugurio: ci pioveva pure dentro. Dopo tante richieste mi hanno dato quest'altra casa che non è certo quella che vorrei, ma meglio di niente». A novembre dell'anno scorso, però, per Pino e un'altra quarantina di famiglie sembrava fatta. Dieci giorni prima di essere sfiduciato dal consiglio comunale, il sindaco Vincenzo Ciampi aveva visitato quest'angolo nascosto della città edificato in tutta fretta due anni dopo il terremoto del 23 novembre 1980. Un sopralluogo, accompagnato da mezza giunta, per annunciare che «entro due mesi» tutti sarebbero stati trasferiti in abitazioni nuove di zecca tra via Morelli e Silvati e via Visconti e sarebbe partita la demolizione di quelle che qui chiamano «le case bianche», per il colore che un tempo avevano le facciate adesso scolorite da infiltrazioni e muffa e consumate dal sole.
 
Giù i prefabbricati e via alla riqualificazione grazie alle risorse del Programma integrato città sostenibili (Pics). «Al posto di questi prefabbricati, verranno costruiti altri edifici e in più sorgerà anche un centro contro le devianze», aveva detto Ciampi, che però non avuto il tempo di mettere in atto questi buoni propositi contenuti anche in una delibera approvata ad aprile dell'anno scorso, ma mai presa in considerazione dal commissario prefettizio Giuseppe Priolo. Sul punto, chiedono «onestà, chiarezza e correttezza», i componenti del Comitato civico «La voce di Valle» promotori di questo intervento di riqualificazione nell'ambito di un'esperienza di progettazione partecipata che li ha visti per mesi al fianco dei tecnici di Piazza del Popolo. «Come larga parte delle intuizioni migliori sostengono oggi questo progetto si è eclissato dai radar della democrazia. Ma questi cittadini proseguono - meritano rispetto, soprattutto per il loro impegno a servizio di un cambiamento costruttivo. Altrimenti tutto rischia di essere irrimediabilmente compromesso, screditato e disperso». Il comitato, dunque, «chiede di rompere il silenzio seguito all'ultima richiesta di incontro, chiede di essere ricevuto dagli organi competenti e di avere risposte certe. Vogliamo conoscere concludono - il destino riservato a questa parte del nostro quartiere oggetto di un progetto pilota salutato con enorme entusiasmo anche dalla Regione Campania». E nel quale in tanti confidavano. Ci aveva creduto Marianna D'Agostino, poco più che ventenne, pronta a traslocare col suo compagno e i loro due bimbi. «Qui non possiamo più vivere dice la giovane mamma la situazione s'è fatta insostenibile. Spero che al più presto arrivi qualcuno dal Comune per dirci che abbiamo una casa nuova». Luisa Orlando, invece, ha perso le speranze: «A maggio ci sono le elezioni: meglio che nessuno viene a chiedere i voti. Non so quante volte ho sollecitato gli uffici comunali perché è saltato il pavimento nel bagno. Sto ancora aspettando». Luisa è un fiume di rabbia in piena: «Potrei scrivere un libro sul degrado e l'abbandono di questo quartiere». Tra le tante storie sceglie quella più eloquente: «Io sto al piano terra e l'altro giorno fuori al balcone ho trovato un topo morto. Sono stati i miei cani a ucciderlo: era talmente grande che l'avranno scambiato per un gatto. Alla signora che abita sul mio stesso pianerottolo sono entrati addirittura in casa. Ma che vita è questa?». La risposta nelle parole di un altro residente, Antonio Sbordone. «Ci arrangiamo dice - come meglio possiamo. Se c'è da tagliare l'erba nei giardini, lo facciamo noi. Se si rompe qualcosa in casa o nel portone lo aggiustiamo a nostre spese. Siamo stanchi. E sappiamo fin troppo bene che nessuno verrà mai ad aiutarci».
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