La collezione Farnese da togliere a Napoli e il presunto "scippo alla città di Parma"

Lunedì 5 Gennaio 2015, 15:24
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Cominciamo da un po' di storia, quella che molti nostri ministri spesso calpestano. Cominciamo da una citazione, quella di Harold Acton: "Napoli ebbe la sua indipendenza grazie ad una donna, Elisabetta Farnese, seconda moglie di Filippo V di Spagna, che non aveva mai cessato di essere intensamente italiana".

Il figlio maggiore di Elisabetta Farnese era quel Carlo infante di Spagna, diventato poi il primo re di Napoli e Sicilia della dinastia Borbone d'Italia. Era il 1734, Carlo rinunciò ai diritti di successione su Parma e Piacenza a favore dell'Austria, ma anche a quelli sulla Toscana a favore dei Lorena, per spostarsi a Napoli.

Re a Napoli e nell'intero sud d'Italia. Re illuminato, di cui parla bene persino Benedetto Croce di certo poco disposto a simpatie verso i Borbone. Sempre Acton spiega che quel re "ebbe il permesso di portar via da Parma e Piacenza tutti gli effetti personali ed i valori della famiglia Farnese". Di cosa si trattava? Eccone l'elenco: collezioni di opere d'arte, biblioteca ducale, archivi, cannoni dei forti e la scalinata di marmo del palazzo.

Ora, 280 anni dopo, il ministro della Cultura, Dario Franceschini, nelle pause di panettoni e spumante da clima natalizio, il 27 dicembre scorso in un'intervista al Corriere della sera ha annunciato che è necessaria una "ricollocazione delle opere d'arte italiane nei luoghi d'origine". E che i quadri di Lorenzo Spolverini, custoditi al museo di Capodimonte a Napoli, saranno riportati a palazzo Farnese a Parma.

Dall'annuncio, l'equazione facile dei giornali online di Parma: "ritornano a palazzo Colorno i beni rubati a Parma". Ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione e fare i suoi commenti. Parlare di "beni rubati a Parma", però, è un falso storico. Non ci fu spoliazione alla maniera di Napoleone, che depredò collezioni artistiche di mezza Italia per portarle a Parigi.

Sempre lo storico Acton, assai ben documentato, spiega che "per quanto gli abitanti di Parma rimpiangessero la spoliazione della loro città, pure in definitiva la decisione fu vantaggiosa per l'Italia, perché altrimenti quei tesori sarebbero stati mandati in Austria".

Un po' come la vicenda della Sicilia e della guerra avviata da Ferdinando II nel 1848-49 contro i rivoltosi che chiedevano l'autonomia da Napoli, con l'appoggio dell'Inghilterra. Benedetto Croce spiega che, con l'intervento armato voluto da Ferdinando II per salvare l'unità del regno, la Sicilia restò all'Italia, mentre rischiava, come Malta, di entrare nell'orbita inglese.

Il Palazzo reale di Napoli, disegnato da Domenico Fontana nel 1600, fu arricchito della collezione Farnese. Al pittore Filippo Hackert fu chiesto di sorvegliare il trasporto delle statue da palazzo Farnese di Roma a Napoli e alcune opere, che presentavano delle macchie, furono restaurate per 1200 ducati. Comunque si voglia vederla, di certo la collezione apparteneva ad Elisabetta Farnese e il figlio Carlo, nuovo re di un grande Stato italiano, non fece altro che portare a Napoli ciò che gli apparteneva.

Carlo III poi restò così legato a Napoli che, quando divenne re di Spagna nel 1759, non portò con sé a Madrid la collezione Farnese. Quattro anni prima, come ha ricordato il professore Gennaro De Crescenzo presidente del movimento neoborbonico, lo stesso Carlo III aveva regolato con una prammatica la gestione dei beni artistici del regno.

Certo, spostare da Napoli una collezione d'arte, che fu oggetto di una bella mostra alla reggia di Caserta, suona come una stonatura. Sarebbe, quella sì, una spoliazione artistica della città che ha una secolare storia di opere d'arte e monumenti visitati da turisti di tutto il mondo. L'ultimo erede di Carlo III, il re Francesco II, scrisse - lasciando Napoli per Gaeta il 6 settembre 1860 - di voler anche risparmiare la capitale "dalle rovine e dalla guerra". E aggiunse nel suo proclama: "salvare i suoi abitanti e loro proprietà, i monumenti, le collezioni d'arte e tutto quello che forma patrimonio di una civiltà e della sua grandezza che, appartenendo alle generazioni future, è superiore alle passioni di un tempo".

Una sempre attuale definizione del valore del patrimonio artistico-culturale di Napoli. Non si conosce quale sia il progetto complessivo di ricollocazione delle opere d'arte italiane che ha in mente il ministro Franceschini. Si aspetta di approfondirlo nel dettaglio. Nel frattempo, le proteste indignate del movimento neoborbonico e di tante associazioni meridionali non sembrano, per ora, immotivate.
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