Palude Italia 

Mercoledì 17 Giugno 2015, 19:34
2 Minuti di Lettura
Da una settimana, il Paese è di nuovo tecnicamente nella palude. Lo è politicamente, proprio adesso che sul versante economico c’era qualche primo sintomo di risveglio. Lo è perché la società italiana conferma una refrattarietà al cambiamento che, spesso, funziona come un “riflesso condizionato”, proprio nel significato che danno a questo termine i fisiologi, come dimostra l’opposizione “a prescindere” alla riforma della Scuola. Ma lo è tecnicamente proprio grazie alla legge elettorale che nella versione approvata dal Parlamento riesce, combinandosi con i risultati delle elezioni regionali, ad allontanare il proposito per il quale essa stessa era stata proposta: avere elezioni che certamente abbiano la sera stessa un vincitore destinato a governare cinque anni. Infatti non molti lo ricordano ma il famoso Italicum si applicherà solo alla Camera a meno di non far varare da una maggioranza qualificata al Senato una riforma costituzionale che preveda il suicidio del Senato stesso (o, perlomeno, la fine della figura del senatore come carica elettiva e remunerata). Un suicidio simile era difficile con un Renzi forte come lo era dopo le elezioni europee. Diventa quasi impossibile nel contesto nuovo creato dalle elezioni regionali e comunali. E quasi certamente si andrà a votare, dunque, con una legge fortemente maggioritaria alla Camera e decisamente proporzionale al Senato, come quella disegnata dalla sentenza della Corte Costituzionale. Ciò significa che chiunque vincerà le elezioni alla Camera dovrà fare un’alleanza al cui confronto le larghe intese sembreranno strette; e che a nessuno converrà al voto in elezioni che nessuno può vincere. Che, probabilmente, non ci saranno altre grandi riforme e che lo stesso Renzi rischia di ritrovarsi nella stessa palude di Letta. Molto più paludosa, anzi, perché l’aggravante (vantaggio assai illusorio per Renzi) è che a Renzi non c’è ancora un’alternativa. Che fare allora? Forse cambiare completamente l’agenda. Meno riforme grandi come montagne che partoriscono topolini. Più cose concretemcapaci di fare differenza e indicare una direzione. Ad esempio, sul turismo, laddove da un presidente del consiglio che ha fatto il sindaco di Firenze ci saremmo aspettati ben più energia. E sui cambiamenti nella stessa scuola e nell’amministrazione pubblica che non possono essere lasciati a metà strada e che costituiscono i più immediati investimenti – rispettivamente a breve e a medio – di uno Stato che vuole recuperare un rapporto accettabile con i cittadini. Visione e pragmatismo: sono questi – sempre – gli ingredienti su cui si costruisce quella leadership senza la quale da vent’anni, regolarmente perde chiunque prova a governare questo Paese difficilissimo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA