Camorra casertana, le minacce
del boss al pm: «Gli uccido la gente»

Camorra casertana, le minacce del boss al pm: «Gli uccido la gente»
Venerdì 27 Aprile 2018, 09:56 - Ultimo agg. 28 Aprile, 07:02
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In vista di quella che si pensava fosse un'imminente uscita dal carcere del boss di Mondragone Augusto La Torre, il clan si stava riorganizzando sul territorio comprando armi e avvisando gli imprenditori. Lo ha scoperto la Dda di Napoli, che ha chiesto e ottenuto dal Gip la carcerazione preventiva per Antonio La Torre, 62 anni, per il nipote 31enne Tiberio, figlio di Augusto, per il 29enne Luigi Meandro e il 41enne Salvatore De Crescenzo, con l'accusa per tutti di detenzione illegale di armi comuni da sparo e da guerra con l'aggravante del metodo mafioso.
 


Per il boss, in carcere dal 1996, è arrivato invece un avviso di garanzia per estorsione aggravata. Nell'indagine, realizzata dai carabinieri della Compagnia di Mondragone e dal personale del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, sono stati intercettati numerosi colloqui in carcere tra Augusto e i parenti, tra cui quello in cui il boss minaccia esplicitamente il pm anticamorra Alessandro D'Alessio, titolare dell'inchiesta insieme alla sostituta Maria Laura Morra. Dai colloqui captati dalla Penitenziaria, si evince come Augusto fosse sicuro, già nel 2015, di uscire di cella e di andare ai domiciliari, essendo stato colpito da due sentenze definitive a 22 anni e 9 anni per i reati di associazione mafiosa ed estorsione aggravata; in passato aveva collaborato con la giustizia senza però ricevere sconti di pena, in quanto le sue dichiarazioni erano state ritenute riduttive dai giudici; in carcere aveva inoltre dato prova di voler cambiare, essendosi laureato in psicologia.

Così, con la collaborazione del figlio e del fratello, peraltro già raggiunto da provvedimenti per reati associativi, ha iniziato a riorganizzare l'arsenale del clan, reperendo armi e custodendole; tra quelle sequestrate vi sono una pistola Glock, un mitra da guerra, una calibro 38 e un 7,65, un fucile M52. Armi che servivano a presentarsi dagli imprenditori cui chiedere il pizzo. Ma gli inquirenti hanno scoperto di più: lo stesso boss, tra marzo e aprile 2015, ha inviato dal carcere di Pescara una lettera minatoria all'amministratore di un condominio di Mondragone, con la quale pretendeva l'assunzione di suo figlio Tiberio, fatto che poi non si è verificato per il rifiuto della vittima; nello stesso periodo, Augusto La Torre ha inviato una seconda lettera di minacce al proprietario di numerose abitazioni all'interno del condominio, con la quale ha richiesto la somma di 25.000 euro.
Anche in questa occasione la vittima però non ha aderito alla pretesa.

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