Inviato a Casal di Principe
Mentre, 2 giorni fa, l’impietoso escavatore rosso sbriciolava come burro la palazzina delle famiglie Stabile in via Ancona, tra la gente che assisteva c’era chi commentava con amarezza: «Era meglio quando c’era la camorra». Uno stato d’animo esploso improvviso, nel paese che, a fatica, negli ultimi anni cerca di rinascere dopo un trentennio di cappa camorristica. Demolita la palazzina dichiarata abusiva dalla sentenza del 2005, in via Ancona ne restano solo le macerie. Renato Natale, il sindaco dopo sette anni dimissionario in polemica sul no alla proroga dell’abbattimento deciso dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, commenta il giorno dopo: «Ho messo la faccia in anni difficili a contrastare l’arroganza delle violente famiglie camorristiche, ma ora sono a disagio nell’essere confuso con uno Stato che mostra il suo volto truce senza cuore e comprensione sociale. Certi commenti ascoltati ieri, di rimpianto per il passato, sono una spia preoccupante».
In 48 ore, a Casale è successo di tutto. Dopo la demolizione della palazzina in via Ancona, su cui il governo ha concesso al Comune un contributo di 124.660 euro per le spese di abbattimento, sono arrivati anche i misteriosi colpi di pistola contro la Casa di don Peppe Diana che, in un immobile confiscato alla camorra, ospita il Comitato don Diana.
Sulle macerie trovate, sette anni fa Renato Natale aveva avviato la difficile opera di ripristino della legalità. Con equilibrio, mediando, cercando il sostegno della gente. Un’impresa difficile, in un Comune uscito solo nel 2014 dal dissesto finanziario per debiti al 40 per cento con gli enti di fornitura dell’acqua che quasi nessuno pagava. Installati nuovi contatori nelle case, sistemate le carte sulla tassa dei rifiuti o l’Imu, c’era da fare i conti anche con un piano regolatore che risaliva al 2006 e il 35 per cento di case abusive. Una ricostruzione morale e amministrativa dai costi pesanti.
«Per ora mi sono dimesso, deciderò in questi giorni se confermarle» dice Renato Natale. Ma molti gli chiedono di ripensarci. Come il Comitato don Diana, che lo ha appoggiato nella battaglia perdente sulla proroga della demolizione in via Ancona. Il Comitato fa da riferimento a 15 tra associazioni e gruppi, che si sono costituiti negli ultimi anni. «Sono l’espressione della partecipazione e della volontà a fare di queste terre un presidio di legalità» dice Salvatore Cuoci. Ma quei colpi di pistola sulla Casa di don Diana fanno riflettere. Dice ancora Cuoci: «Noi continuiamo il nostro impegno e rassicuriamo chi ha deciso di venire da noi per la propria attività». Ieri, proprio nella Casa di don Diana, c’è stata una chiamata a raccolta di soci e simpatizzanti. Un ritorno alla normalità pre-Covid, partendo dalla vicenda dei colpi di pistola tutta da chiarire. Dice Maria Laura Di Biase, che fa parte della segreteria: «La riunione è un modo per tenere stretti i soci, saldare legami, dimostrare compattezza». Non sono giorni facili per la Casale in cerca di rinascita. Con un comunicato e norme alla mano, la Procura di Santa Maria Capua Vetere motiva la sua scelta di confermare l’abbattimento. Ne è derivato un ricorrente contrasto tra legalità e giustizia, che pesa in un contesto di equilibri difficili. Dice Renato Natale: «Il Comune aveva compiti di tutela sociale e ha provato ad assolverli. I sindaci hanno il polso delle situazioni concrete. Senza realismo e cuore, il rischio che qualcuno rimpianga l’era dei clan c’è. Un rischio culturale e sociale, che va evitato».