Ladro morto dopo la caduta dal quinto piano, il parroco: «Solo malvagità sui social»

«Rubare è male ma mi scandalizza la gioia per una morte, assurdo parlare di giustizia divina»

Don Antonello Giannotti
Don Antonello Giannotti
di Nadia Verdile
Lunedì 9 Ottobre 2023, 08:00 - Ultimo agg. 13:46
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Dall'altare, durante l'omelia di ieri, don Antonello Giannotti ha condiviso le sue riflessioni dolorose sulla vicenda del ladro precipitato, nel quartiere Petrarelle, dal quinto piano e morto sul colpo. Della morte di Nicola Tartarone, 35enne di Marano di Napoli (la polizia è sulle tracce del complice) sui social si è parlato e sparlato.

«In questa triste vicenda - sottolinea il parroco della chiesa Nostra Signora di Lourdes - il primo dato è che rubare è male. Quindi chiunque ruba fa male, è deprecabile e va condannato. Poi c'è il secondo dato ed è male anche questo.

Non sono sui social ma tante persone mi hanno segnalato e fatto leggere quello che in tanti, troppi, hanno scritto a commento di post in cui si dava conto dell'accaduto. C'è chi ha esultato per quella morte, c'è chi ha detto che dovrebbero fare tutti quella fine, c'è chi ha detto: un fetente in meno sulla terra. Tutto questo mi ha scandalizzato».

C'è anche chi ha scritto che è stata la giustizia divina... 
«Ecco, è proprio da quest'ultima affermazione che vorrei partire. Come si può pensare a un Dio vendicativo? Gesù è venuto non per abolire la legge ma per portarla a compimento e questo si chiama perdono. È la legge dell'amore che Gesù inaugura e di questo amore non c'è traccia in quei giudizi, in quelle parole che hanno inneggiato alla morte, che hanno detto giustizia divina. Se Dio fosse un giustiziere non esisterebbe più nessuno su questa Terra perché chi è senza peccato scagli la prima pietra. Il Vangelo ci insegna ad amare il nemico. Freud diceva che amare il nemico è innaturale ed è proprio questa la forza rivoluzionaria della parola di Gesù. Troppi credenti non credibili, non è così che si è cristiani».

Nei giorni e nella subcultura dei social quali sono i danni maggiori?
«Ognuno di noi, quando parla degli altri, dovrebbe esercitare il tempo della riflessione, imparare a contare fino a dieci e magari cento per poi eventualmente esprimersi pubblicamente. Ci sono temi così delicati e sensibili, così etici, che dovrebbero vederci in silenzio in luoghi come i social dove tutto viene amplificato, moltiplicato, replicato e condiviso. Come si può augurare, celebrare, festeggiare la morte di una persona? Cosa c'è di cristiano in questo modo di pensare e di fare? Chi sono io per giudicare? disse papa Francesco all'inizio del suo pontificato. E penso a "Nessuno tocchi Caino", un'associazione per l'abolizione della pena di morte nel mondo che parte da un principio: giustizia senza vendetta. Un cristiano non può desiderare vendetta. Il cristianesimo è perdono. I danni peggiori che derivano da questi comportamenti, dalle parole d'odio in libertà, sono legate all'esempio. Cosa insegniamo ai giovani che ci leggono, che ci osservano?».

Poi però ai giovani si contestano gli atteggiamenti di bullismo.
«Proprio così. Ma questo atteggiamento, drammaticamente in crescita, è figlio dell'educazione. Della cattiva educazione. Dietro ogni bullo c'è un difetto pedagogico. Siamo sempre più attenti all'apparire, all'autodifesa senza mai fare autocritica, insegniamo ai giovani, sin da piccoli, che tutto ci è dovuto e che possediamo la verità. Non è così che si fa, dobbiamo avere umiltà, ricordare che non si educa con le parole (non solo) ma con l'esempio. Se ci vedono urlare, inveire, puntare il dito, gridare: a morte!, cosa dovrebbero imparare? Poi quei gesti vengono replicati tra i pari e chi non ha voce soccombe. Il bullismo è in netta crescita, ce lo raccontano le cronache, gli psicologi, i docenti. Le vittime. Ce lo raccontano i genitori dei figli aggrediti».

Bisogna esserci quando è il momento non quando si ha un momento. Giusto?
«Sì, è così. Bisogna imparare a dare, a non giudicare, ad accompagnare. Bisogna essere presenti nella quotidianità con esempi positivi. Come adulti abbiamo responsabilità enormi, come cristiani ancora di più. È nostro compito incidere sulle coscienze, dobbiamo imparare noi e poi insegnare ai giovani che il male non si combatte con il male. Dobbiamo imparare a riflettere. Educare, diceva Dostoevskij, significa dare ai figli bei ricordi. Le tempeste possono sradicare gli alberi ma i semi resteranno a dimora. Basta sete di vendetta, è il perdono la vera rivoluzione».

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