«Don Diana dimenticato e la sua gente
abbandonata, Casale periferia estrema»

«Don Diana dimenticato e la sua gente abbandonata, Casale periferia estrema»
di Marilù Musto
Mercoledì 29 Dicembre 2021, 08:17 - Ultimo agg. 14:41
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«Siamo rimasti la periferia della Campania. Peppe si sarebbe aspettato di più dalla rinascita di un territorio. Invece è proprio vero ciò che dice don Carlo Aversano. La mentalità di alcune persone a Casal di Principe non è cambiata e c'è il rischio che i camorristi tornino. In che modo? Ignorando i bisogni dei cittadini. Così si crea l'humus per l'Antistato». Marisa Diana è la cugina di don Giuseppe Diana, il sacerdote ucciso a Casal di Principe dal clan De Falco nel 1994 durante la faida con gli Schiavone. È insegnante di Lettere ed è anche assessore al Comune, inserita nella squadra del sindaco anticamorra Renato Natale. La seconda elezione di Natale al Comune ha dimostrato che la vita in provincia oltre che degna - ci sono le piste ciclabili in tutto il paese - può essere anche normale. Ma Casale resta un luogo pieno di contraddizioni, con troppe Mercedes e poche biciclette. E Marisa lo sa bene. «Abbiamo già avuto il nostro maggiore Anceschi», dice citando il carabiniere che impersonò la lotta alla camorra per Mussolini. «Ora bisogna ricostruire, ma soli non possiamo farcela».

Sfoglia l'album dei ricordi e trova una foto di famiglia in cui don Diana prende per mano la nipotina Donatella che diventerà magistrato 25 anni dopo la sua morte.

Mentre racconta della fuga di un giovane don Peppino da Roma dopo il seminario, Marisa si asciuga una lacrima pensando a un viaggio a Catania insieme al cugino tre mesi prima dell'assassinio: «Quella vacanza in Sicilia la considero il suo ultimo regalo per me», dice. A 30 anni di distanza dal documento di don Peppe «Per amore del mio popolo» - che inaugurò un percorso che porterà alla sua morte - il senso ultimo della lettera è stato tradito. «Molti hanno strumentalizzato questa lettera», ha dichiarato don Carlo Aversano, uno dei tre sacerdoti che firmò quel dispaccio.

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C'era scritto che bisognava impegnarsi ad amare i nemici e, quindi, aiutare i figli dei camorristi ad allontanarsi dagli schemi familiari. Tutto questo non è stato fatto. Non dalle istituzioni. «Al Comune non arrivano fondi, non abbiamo nemmeno un assistente sociale - tuona Marisa - cosa devo rispondere alle famiglie, ai disabili, ai genitori? Che la Regione non ci ascolta? Che la periferia della Campania è lasciata al suo destino? Che il Governo centrale fa solo passerelle? Se la camorra dovesse tornare so già chi chiamare sul banco dei colpevoli». La buona volontà, da sola, non va lontano.

Per questo esistono le associazioni, come quella che ha preso in adozione il nome di Don Diana: «Noi portiamo avanti progetti per il reinserimento di ex detenuti di San Cipriano e Casal di Principe», racconta Salvatore Cuoci del Comitato don Diana. «Anche gli assistenti sociali ci hanno fatto i complimenti». Ed ecco la seconda contraddizione: il Comune è sprovvisto di Assistenti sociali, mentre l'associazione ne ha tre grazie ai budget di salute aderenti al comitato. «Abbiamo un solo dirigente in Comune che fa tutto», dice il sindaco Natale. Don Diana nel documento scritto con don Carlo Aversano e Armando Broccoletti parlava di perdono e di legalità da portare nelle scuole, al mercato, fra la gente. Questo è stato fatto grazie allo spirito dei volontari, ma non c'è stato un «regime speciale» per Casal di Principe invocato dagli amministratori. «Abbiamo le stesse risorse di un Comune del Trentino Alto Adige. Se muore Casale muore il Sud», conclude Marisa Diana. Un grido di allarme arriva anche da Antonio del Monaco, deputato (M5S): «Se la camorra non spara, vuol dire che sta facendo affari. Ferma non è», dice. E il senso della lettera di Don Diana scritta 30 anni fa? «Per amore del mio popolo doveva essere esposta e letta in tutte le chiese in occasione dell'anniversario e del Natale», racconta Augusto di Meo, testimone del delitto di Don Diana. «Alcuni parroci della foranìa lo hanno fatto, ma altri no», conclude. Il manifesto sarebbe stato posizionato in sacrestia in una chiesa, non all'ingresso della parrocchia.

Eppure, Casal di Principe è abituata a slanci di orgoglio. È un esempio per gli altri Comuni sul fronte del riutilizzo sociale dei beni confiscati: dalla casa per l'autismo nell'ex villa degli Schiavone, alla cioccolateria. Sul fronte opposto, c'è la macchina amministrativa: non ci sono ore necessarie per l'assistenza domiciliare per i disabili, i progetti dell'Ambito con capofila Lusciano non decollano. Tutto è molto lento. «Non abbiamo nemmeno il denaro per aggiustare le buche in strada - spiega Marisa Diana - io temo le prossime elezioni perché senza attenzione da parte delle istituzioni centrali, la periferia diventerà una bomba a orologeria. Non esiste solo Napoli».
 

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