Si sta lentamente riprendendo, la donna marocchina di 41 anni al centro di un caso di infanticidio. «Abbiamo cercato di capire chi fosse, ma l'unica circostanza che abbiamo scoperto è la seguente: era arrivata qui a Casal di Principe da un mese, circa», ha dichiarato ieri il parroco della chiesa San Nicola di Bari di Casale, don Franco Picone. La parrocchia è vicinissima all'abitazione dove pare che la donna svolgesse il lavoro di badante. «Di solito riconosciamo chi chiede sostegno alla Caritas, anche se non ci dicono il nome. Stavolta davvero credo di non aver mai visto questa donna», conclude. E infatti, la quarantunenne pare avesse svolto sempre il lavoro di badante in zona, nell'agro aversano, nei mesi scorsi per poi trasferirsi a Casal di Principe su indicazione di una sua amica. All'ospedale Moscati di Aversa i carabinieri le hanno notificato un fermo per l'identificazione: di fatto, non può lasciare l'ospedale e quando la prognosi sarà sciolta del tutto, resterà nella disponibilità dell'autorità giudiziaria. L'ipotesi di reato per cui si precede è infanticidio, ma per poter comunicare l'avviso di reato all'interessata c'è bisogno che lei stia meglio. Oggi potrebbe arrivare la svolta sull'intera vicenda. La ricostruzione parla di una ingestione di farmaci che hanno provocato l'aborto e di una manovra maldestra durante l'espulsione del feto di cinque mesi. Quando giovedì pomeriggio della scorsa settimana i medici del 118 sono giunti con l'ambulanza in via San Nicola di Bari a Casale, hanno trovato la donna in strada in condizioni pietose con una busta piena di sangue fra le mani.
Dentro, c'era il piccolo feto morto avvolto in un asciugamano: se fosse stato gettato in un secchio dell'immondizia mai nessuno avrebbe fatto caso, probabilmente, a quel piccolo cadavere, ma l'emorragia che non riusciva a placarsi della 41enne ha fatto scattare la denuncia e i soccorsi.