San Pietro Infine, il paese distrutto
da nazisti e bombe accoglie i rifugiati

San Pietro Infine, il paese distrutto da nazisti e bombe accoglie i rifugiati
di Antonella Laudisi
Giovedì 17 Marzo 2022, 13:00 - Ultimo agg. 16:04
4 Minuti di Lettura

La memoria lunga di chi ogni giorno guarda il paese che non c'è più. È memoria lunga quella degli abitanti di San Pietro Infine, che a leggerlo così uno neppure s'immagina esista davvero. Esiste, San Pietro Infine. E sta arroccata sul confine tra Campania, Lazio e Molise, nell'ultimo lembo del Casertano, un po' più giù di quel paese con lo stesso nome distrutto dai bombardamenti del 1943. Sarà per questo che non ci hanno pensato due volte, gli abitanti, e nella piazza del «paese che non c'è più» hanno raccolto viveri e generi di prima necessità da portare su, dove si combatte la nuova guerra. Il viaggio di ritorno dalla Polonia (che poi è la terra da dove arrivarono i soldati che contribuirono alla liberazione dei paesi sulla Linea Gustav), la carovana partita da San Pietro l'ha fatto portandosi dietro una cinquantina di profughi; tanti i bambini, una è ammalata e ora è ricoverata nell'ospedale Bambino Gesù di Roma.

È che a guardare in tv le immagini di Kharkiv, di Mariupol, di Kiev i nonni di oggi, i bambini di allora hanno rivisto l'orrore delle bombe che cadono, la fuga nei rifugi in grotte scavate nella montagna, il pianto di chi aveva perduto tutto, casa e affetti; la paura per ogni passo estraneo.

E non ci hanno pensato due volte, i figli e i nipoti di quei sopravvissuti a partire con gli aiuti che magari non bastano, ma sono pure qualcosa. 

Un paese fiaccato dalle rappresaglie tedesche, oltre cento le persone fucilate a San Pietro. Un paese raso al suolo poi da quindici giorni di cannoneggiamenti alleati, altre centinaia di morti. Non c'erano i social a documentare la barbarie in quel '43. E allora lo stato maggiore dell'Esercito americano mandò a documentare tutta quella distruzione uno che in tempo di pace faceva il regista a Hollywood, era il grande John Hoston e il suo combact film The battle of San Pietro è il primo docufilm che racconta l'orrore di ogni guerra. «Con esso si dovevano mostrare ai cittadini statunitensi i motivi per cui era giusto combattere per la libertà dell'Europa, spiegare i ritardi dell'avanzata verso Roma e documentare i progressi della Campagna d'Italia», è scritto sulle note del sito dedicato oggi al Parco della memoria storica che si può visitare andando a San Pietro Infine. Non era un film quello, era la vita che passava terribile sugli italiani, sull'Europa, e seminava morte.

Dopo quasi ottant'anni, quando pareva che quelle immagini non dovessero tornare nel continente pacificato, in tv e sui social altri combact film ci ripropongono le stese facce sfregiate, gli stessi occhi di pianto, la stessa disperazione di chi, come la gente di San Pietro Infine nel 1943, oggi vive nella paura costante di una guerra troppo uguale a quella del secolo scorso: bombe, mitragliate, famiglie divise, in fuga; giovani costretti a imbracciare un fucile invece della chitarra, come ha scritto Olekseij - trentenne avvocato di Kiev - al quale mancano anche i vinili lasciati nell'appartamento che ha lasciato per unirsi alla resistenza. 

Video

«Le rovine di San Pietro restano a testimonianza delle atrocità della guerra e costituiscono una sorta di museo all'aperto, un luogo della memoria, riconosciuto come Monumento Nazionale con decreto legge nel 2008», spiegano orgogliosi gli abitanti di San Pietro che a un altro mago del cinema, Carlo Rambaldi, devono quello che oggi è il Parco Museo della Memoria.

Memoria lunga, quella di San Pietro, che tutti credevamo dovesse restare solo nel racconto degli ultimi bambini del '43, e nelle immagini di tanta distruzione che anche Mario Monicelli volle avere come set, nel 1959, de La «Grande guerra (Leone d'Oro a Venezia e nomination per l'Oscar). Perché è vero che tutte le guerre sono uguali in quello che lasciano: macerie, distruzione, dolore. Il nulla. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA