Per costringere i commercianti a pagare le estorsioni, si presentavano come persone legate al camorrista napoletano Raffaele Cutolo e al clan dei Casalesi. Le loro minacce a suon di aggressioni verbali e fisiche, utilizzando anche mazze da baseball, hanno seminato il terrore per tre anni ma ieri a seguito della condanna definitiva sono finiti in carcere.
In manette, per un totale di 35 anni di reclusione, l'ex cutoliano Michele Giuliano Aria di 65anni con i figli Armando di 43 e Michele jr di 37 anni e il 64enne Francesco Faella. I provvedimenti di carcerazione emessi dall'Ufficio esecuzioni penali della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli, sono stati eseguiti dai poliziotti delle Squadre Mobili di Caserta e Varese, oltre che dal commissariato di Sessa Aurunca.
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Michele Aria è stato catturato a Venegono Superiore in provincia di Varese, dove aveva un lavoro, gli altri tre tra Teano e Vairano Patenora. Le condanne per reati vari, tra cui estorsione, lesioni e porto d'armi, commessi avvalendosi del metodo mafioso, sono arrivate all'esito delle indagini della Squadra Mobile di Caserta in grado di far luce sulle dinamiche criminali del gruppo capeggiato dal 65enne Aria.
I fatti, accaduti tra il 2016 e il 2019, hanno visto come vittime diversi commercianti di Teano costretti a pagare ingenti somme, sotto la scure della minaccia e dei danneggiamenti alle loro attività commerciali. Il timore di ulteriori nefaste conseguenze, sarebbe stato fatale per l'economia teanese e per la difesa della legalità se i commercianti non avessero deciso di ribellarsi e denunciare ogni cosa affidandosi così alle forze dell'ordine. E su un fronte diverso, continuano le indagini del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Caserta per svelare i segreti dei due bunker trovati in via Luigi Einaudi 12, a Casapesenna, nell'abitazione di Ernesto Adriano Falanga.
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L'ipotesi che i due covi possano essere stati utilizzati dal camorrista Michele Zagaria, in carcere all'ergastolo dal 2011, è al vaglio degli inquirenti. Sotto esame anche l'ipotesi che gli stessi possano aver nascosto altri affiliati del clan dei Casalesi. E se questo dovesse essere confermato è chiaro che a conoscerne l'esistenza non era solo il gruppo Zagaria e che dunque i carabinieri vi siano arrivati anche grazie alle dichiarazioni di un collaboratore.
Non è però l'unico nodo da sciogliere. Bisognerà chiarire come sia stato possibile che Falanga, in carcere con l'accusa di detenzione illegale di armi (a seguito del ritrovamento nella sua cantina, il 18 febbraio, di una mitraglietta, 49 proiettili 9x21 e 66 calibro 22), abbia superato indenne tutti i controlli fatti dalla cooperativa Le Terre di don Diana, guidata dal presidente Massimo Rocco, appartenente all'associazione Libera di don Luigi Ciotti, prima di assumerlo in servizio per il caseificio delle mozzarelle della legalità, realizzato in un bene confiscato a Castel Volturno.
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Appresa la notizia dell'arresto, sono stati avviati i provvedimenti per la sospensione e il licenziamento. «Siamo stupiti e addolorati dalla notizia dell'arresto di Ernesto Falanga - fanno sapere i cooperatori - perché in questi oltre tre anni di lavoro presso il caseificio della cooperativa don Peppe Diana, non vi sono stati segnali alcuni che abbiano fatto ritenere possibile attività illecite». «Restiamo in attesa di conoscere gli sviluppi dell'indagine - continua la nota - certi di aver agito con perizia in ogni fase del rapporto lavorativo».