Pablo Picasso, 50 anni fa la morte: nel suo Novecento la metamorfosi rivelata

Einaudi pubblica Pablo Picasso di Pepe Karmel

Pablo Picasso
Pablo Picasso
di Giuseppe Montesano
Mercoledì 25 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 26 Ottobre, 07:28
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A 61 anni di età Pablo Picasso (Malaga 25 ottobre 1881 - Mougins 8 aprile 1973) scorge, in un mucchio di oggetti buttati alla rinfusa sul ciglio di una stradina, un sellino e un manubrio di bicicletta. Il sellino è nudo, manca di molle e di tutto; il manubrio è nudo, manca di maniglie e di tutto; il sellino è un imperfetto tetraedro arrotondato e il manubrio è una U alquanto storta. Ma in quegli oggetti Picasso «vede» una forma nuova e, come dice lui stesso, «non fa altro» che saldarli insieme per comporre una scultura che chiama Testa di toro e che è, assolutamente è, una testa di toro. Realistica? No, non realistica, ma vera: e quindi reale.

Non saprei come cominciare diversamente un articolo per i cinquant'anni dalla morte di Pablo Picasso l'immenso, che insieme a Max Ernst e a Marcel Duchamp, forma la trinità del Moderno e quindi del Contemporaneo.

Per segnare questo anniversario Einaudi pubblica Pablo Picasso di Pepe Karmel, un critico e storico dell'arte che ha già scritto, senza nessuna reverenza servile alle idee di massa, un libro intitolato L'arte astratta. Una storia globale, sempre per Einaudi.

Il libro su Picasso è una sorta di sintesi, ben fatta per il numero di illustrazioni e la loro scelta, del significato dell'opera di Picasso ieri e oggi: con la sola menda di non ospitare le opere, per alcuni erotiche per altri pornografiche, dell'ultimo periodo picassiano, dagli anni 60 e fino al 1973 in cui morì a 92 anni.

Ma il merito di Karmel sta nel dire che l'opera-Picasso, sepolta dalla critica a partire dalla pop art, cancellata o svalutata dopo la morte, è l'opera chiave, con quelle di Ernst e Duchamp, del Novecento e fino a oggi.

Ma qual è il centro di un'opera letteralmente smisurata che passò dal rosa e blu ai cubi, dai collage alle sculture, da Guernica all'eros, dalla ceramica a qualsiasi altra cosa potesse soddisfare la mai soddisfatta brama di forme del grande spagnolo? Lo ha detto lui stesso, ma invece di ascoltarlo si è goduto nello sguazzare nei fatti della sua vita e nel moralizzare sulla sua sovrabbondanza produttiva, in realtà disorientati di fronte a qualcosa che sembra l'opera di molteplici artisti, e offesi dall'insolenza di un uomo che, ricco e famoso e proprietario di un castello, invece di girare il mondo a prendersi applausi e a pubblicizzare mostre, si rinchiudeva nelle stanze ingombre di macerie e sporcizia a piano terra del castello, e là plasmava migliaia di ceramiche dipinte e schizzava migliaia di quadri con una fretta che era il tentativo di afferrare i mutamenti dell'essere.

E ascoltiamo lui, l'artista misterioso, dire tutto parlando della straordinaria Testa di toro: «Supponete che la mia testa di toro fosse gettata tra i rottami. Un giorno forse un ragazzo si dirà: Ecco qualcosa che potrebbe servire come manubrio per la mia bicicletta, e una doppia metamorfosi si sarà compiuta». 

 

La metamorfosi anima l'opera di Picasso in ogni anfratto, in ogni riuscita e in ogni caduta, è ciò che lo spinge dall'esile grazia dei blu o dei rosa ai colpi d'ascia sfiguranti delle Damoiselles d'Avignon, lo guida ad appiccicare oggetti sulle tele e a mescolare pittura e rottami, lo spinge a costruire forme sferoidi di esseri umani primitivamente futuri nel periodo neoclassico, e lo fa passare dalle Tauromachie disegnate a quelle incise su lastre, tutto sempre per inseguire la metamorfosi nella mente e nella materia. Fare a pezzi le forme consuete per ricostruirle e mostrare il loro misterico lato «altro»? 

Suonare la musica della metamorfosi come se bisognasse rifare il mondo in una cosmogonia fondata sul sacrificio secondo i Veda? Giocare senza interruzione il gioco in cui si cambia pelle come il serpente per tornare giovani come il «ragazzo» del suo racconto? Combattere contro l'idea che la Tradizione sia un museo o un diktat e sostenendo invece che non esiste Tradizione se non reinventandola e quindi facendosi odiare sia dai tradizionalisti della grande opera «realista» sia dai poppartisti della novità del minuto celebre? Ma basta sfogliare anche solo questo Pablo Picasso di Karmel senza paraocchi per accorgersi che c'è tutto questo e ancora altro, e come un sovrappiù il piacere-dolore estatico che balza fuori da tante sue composizioni, la danza dionisiaca che sa farsi apollinea in un fiume di forme che, come le idee secondo Platone, sono ogni volta una e molteplice. 

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Cinquanta anni dopo la morte del demiurgo tornare a guardare Picasso sul serio, senza bende sulla mente, sarà il modo migliore per capire quanto oggi è falsificata l'arte e per entrare armati nel futuro. 

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