Teatro Nuovo, 300 anni da Paisiello e Verdi a Totò e Martone

Il Teatro Nuovo com'era
Il Teatro Nuovo com'era
di Donatella Longobardi
Domenica 17 Settembre 2023, 10:38
6 Minuti di Lettura

In rete, diversi siti e una celebre enciclopedia on line riportano l'apertura nel settembre del 1723 con la prima assoluta di «La Locinna» di Antonio Orefice. De Filippis e Mangini nel loro Il Teatro Nuovo di Napoli, in linea con Benedetto Croce e il suo I teatri di Napoli, indicano marzo 1724 e un altro titolo di Orefice «Lo Simmele».

In realtà, studi più recenti riportano che in quei giorni di fine estate del 23, gli impresari Giacomo De Laurentiis e Angelo Carasale stavano solo progettando la costruzione a Napoli del Teatro Nuovo e nel marzo 24 stipularono l'atto di acquisto del suolo. Lo costruirono in sette mesi, il che data l'apertura al dicembre del 1724, sempre con «Lo Simmele» su testo di Bernardo Saddumene, tra gli autori più ricercati dell'opera buffa che proprio nello spazio di via Montecalvario avrebbe ottenuto la sua consacrazione. Nonostante siano trascorsi giusto 300 anni, la storia del genere musicale nato a Napoli e la storia stessa del Teatro Nuovo non sono state ancora completamente approfondite, valorizzate e conosciute. E chissà che questo anniversario non spinga gli esperti a nuovi e più organici studi.

Basti dire che lo scorso luglio, il Festival di Martina Franca - dove da quasi 50 anni si guarda al recupero del patrimonio musicale dimenticato del Settecento napoletano ha proposto la prima in epoca moderna di «L'Orazio» di Pietro Auletta. L'opera era andata in scena la prima volta proprio al Teatro Nuovo nel 1737 ed è solo una delle centinaia di commedie in musica che videro la luce nel glorioso spazio dei Quartieri Spagnoli costruito su progetto dell'architetto e scenografo Domenico Antonio Vaccaro. 300 anni e una storia senza uguali, proseguita anche in epoche più recenti. Fu qui che il 15 marzo 1895 in «L'amico Francesco» di Mario Morelli debuttò un 21enne Enrico Caruso guadagnando 80 lire. Qui hanno recitato Totò, Pantalena, Viviani, i fratelli De Filippo. Ma prima, la sala del Nuovo, più antica del San Carlo di 13 anni, era stata uno dei centri nodali della musica a Napoli e, soprattutto, dell'opera buffa fiorita tra queste mura.

Sulla scena non comparivano complesse macchine barocche, ma come racconta Croce, «le strade, le piazze, i luoghi più popolari di Napoli, il Borgo Loreto, il ponte della Maddalena, Porta Capuana, Taverna penta, la fontana dei Serpi, la Duchesca, Posillipo, il Vomero». Come napoletani erano i personaggi che si alternavano sulla scena e le giovani «canterine» che attiravano sciami di corteggiatori mentre, negli intervalli delle opere in musica, recitavano compagnie di prosa coi vari Pulcinella e Tartaglia. Un fenomeno attivo in tutto il secolo XVIII e oltre che, partendo dalle falde del Vesuvio, aveva raggiunto il cuore dell'Europa colta grazie a la «commeddia pe' musica» con autori che si chiamavano Cimarosa, Paisiello, Pergolesi. Le loro firme compaiono negli elenchi dei titoli rappresentati al Nuovo, inaugurato, come detto, con «Lo Simmele» di Saddumene e Orefice. Una «burletta», «bagattella», «favoletta... fatta priesto priesto», la definisce l'autore, «una specia d'artificejo a' duje cape... Lo primmo capo è n'arresemmegliamiento che ha no cierto galantommo... co' n'ommo ordenario... E ll'auto è l'Ammore stravagante de Palomma, che vo' bene egualemente a duje».

Nel nuovo teatro realizzato durante il viceregno austriaco nel «giardiniello di Monte Calvario sopra Toledo» - un teatro sorto grazie alle aumentate richieste del pubblico che a quei tempi riempiva il Fiorentini e il San Bartolomeo - trovavano posto in platea 141 sedie «di legno». C'erano poi circa 300 posti nei 13 palchi per fila disposti su 5 ordini su una pianta a ferro di cavallo. Un'idea vincente, tanto che il progetto del Vaccaro fece da modello per il San Carlo di Medrano datato 1737.

In 80 palchi napoletani per lato, l'architetto aveva previsto anche lo spazio da destinare all'orchestra con «scanni per li Cimbali, e loro lettorini» e luogo per le «Violette», «li Violini, con loro seditori, e sei sedie alte per il primo, e secondo cimbalo, Violoncello, e Contrabassi, colle di loro tavole sotto li piedi delle sedie», come riportano Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione in Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento (Ricordi, 1996). Un piccolo miracolo architettonico di cui il Parrino parla come uno «dei migliori teatri d'Italia» nella Nuova guida Guida de' forastieri per osservare, e godere le curiosità più vaghe e più rare della fedelissima Gran Napoli Città Antica e Nobilissima (1725). Di questo teatro, però, resta oggi una sola traccia visiva. È una pianta pubblicata da Cosimo Morelli nel 1780, disegno di cui molti dubitano la veridicità non corrispondendo con le descrizioni giunte fin qui. Quella sala originaria, modificata nel 1782 dai nuovi proprietari Michelangelo Freda e Francesco Antonio de Laurentiis, fu completamente distrutta da un incendio il 20 febbraio 1861. Lo ricostruì sullo stesso luogo e con uno schema simile, l'architetto Ulisse Rizzi, che ne era anche comproprietario, riaprendolo nel 1864. Fino agli ultimi decenni dell'Ottocento quel palco ospitò ancora tanta musica e tanta opera buffa prima di diventare regno della prosa dialettale e del varietà. Almeno fino al 1935. La sera del 12 gennaio si rappresentava la rivista «Mille luci», il principe Umberto di Savoia, dal suo palchetto di proscenio, aveva assistito allo spettacolo. Calato il sipario, spente le luci, una stufetta accesa provocò un corto circuito e un incendio che ridusse tutto in cenere.

Per rivedere il teatro risollevarsi per la seconda volta bisognerà attendere il 1980 quando Igina Di Napoli e Angelo Montella rilevarono la sala cinematografica costruita in luogo dello storico spazio, insieme a un ampio deposito che sarebbe diventato la Sala Assoli, facendone luogo di sperimentazione e nuovi linguaggi dove, tra gli altri, si ritrovavano autori come Ruccello, Moscato, Martone.Le radici, invece, restano legate all'opera buffa e in gran parte a musicisti di cui sopratutto appassionati e studiosi conoscono i nomi. Tra i vari Vinci, Tritto, Traetta, Piccinni, Leo, Lagroscino, Latilla, Insanguine, De Giosa, Auletta, Anfossi, spuntano però anche i big. Un giovane Gaetano Donizetti, appena arrivato in città e non ancora insediato al San Carlo, debutta a Napoli al Nuovo nel 1822 con «La Zingara» su libretto di Tottola. Il grande musicista bergamasco resterà legato a questo palco se è vero che qui si rappresentarono anche «La figlia del reggimento» e «Don Pasquale».

Rossini, invece, nel 1818 vi aveva portato «Torvaldo e Dorliska». Lo stesso Verdi è nell'elenco degli autori visti qui con il suo «Un giorno di regno Il Finto Stanislao» (1859) opera buffa su libretto di Felice Romani. Mentre è del 1798 «L'eroismo ridicolo» di Gaspare Spontini, compositore che in Francia sarebbe arrivato all'apice del successo con la «Vestale» (1807) riportata all'attenzione del grande pubblico alla Scala negli anni Cinquanta grazie alla voce di Maria Callas.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA