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Beatrice Salvioni, La Malnata: «Amiche geniali contro il fascismo»

«La Malnata fa paura perché è simbolo della divergenza dalla norma imposta dalla società»

La Malnata di Beatrice Salvioni: «Amiche geniali contro il fascismo»
La Malnata di Beatrice Salvioni: «Amiche geniali contro il fascismo»
di Francesco Mannoni
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 30 Marzo 2023, 07:00 - Ultimo agg. : 31 Marzo, 07:25
5 Minuti di Lettura

È un best seller annunciato La Malnata (Einaudi, pagine 248, euro 17,50), il primo romanzo della ventottenne Beatrice Salvioni (gia vincitrice del Premio Calvino racconti), uscito contemporaneamente anche in Francia, Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Turchia, Bulgaria e presto anche negli Stati Uniti e in Germania: sarà tradotto in 32 lingue e sono già avviati i lavori per farne una serie tv.

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La dodicenne Francesca e la tredicenne Maddalena come caratteri sono agli opposti, ma per questo attratte da un'ammirazione reciproca. Nella Monza del 1936 tra i rigori del regime fascista e la guerra d'Abissinia sullo sfondo, Francesca frenata dal perbenismo materno è affascinata da Maddalena scontrosa, libera, disinibita e pronta a battibeccare con chiunque, anche con i maschi come Matteo e Filippo con i quali s'incontra sulle sponde del Lambro e gareggia in destrezza e coraggio. Francesca si unisce a loro e matura estranea al formalismo materno, concretizzando sempre più l'idea di un mondo diverso e di una libertà senza fronzoli dottrinali, saluti fascisti e insegnanti catechizzati. Attraverso le due amiche l'autrice racconta un popolo succube, un'Italia percorsa da grandi ambizioni ma con modesti risultati e brucianti sfaceli.

«Per Francesca», premette l'autrice, «la Malnata assume i tratti di un personaggio catalizzatore. Grazie a lei Francesca comprende il significato della disobbedienza, e scopre un modo più autentico di vivere. Entrambe si affezionano l'una all'altra perché, insieme, riescono a diventare la versione migliore di loro stesse, senza sensi di colpa e paure».

Altre due amiche geniali, ma nel segno dell'emancipazione, della rivalsa, Salvioni?
«Credo che ogni storia nasca da un'urgenza precisa. Francesca e Maddalena, con il loro desiderio di rivalsa, me le porto dentro da moltissimo tempo. Da bambina mi è stato detto: È un peccato che tu non sia nata maschio. Le femmine non possono fare altro che rimanerci incastrate, nella vita. Allora, da quando ho iniziato a inventare storie, ho sempre voluto raccontare di ragazzine che, invece, la vita la afferrano, la masticano, la conquistano. E cercano di far sentire la propria voce nonostante il mondo che le circonda voglia farle tacere. A volte non servono neppure parole per ribellarsi; a volte basta un ballo, come le cinque ragazze iraniane che lo scorso 8 marzo hanno danzato senza velo sfidando i divieti. Sono state arrestate, costrette a mostrarsi pentite. Il regime le vuole sottomesse e inermi, ha dato loro la caccia pur di reprimere quel gesto di affermazione di sé e di libertà. Quando ti vogliono far tacere significa che hanno paura di ciò che dirai; la tua verità è potente, tanto da spaventare un impero».

Perché la Malnata fa paura, è invisa ed emarginata?
«Perché è simbolo della divergenza dalla norma imposta dalla società. Quando passa si fanno gli scongiuri come per scacciare il demonio: è ritenuta una devianza, un errore. Secondo l'ideale fascista la donna doveva essere una massaia dedita alla casa e alla cura dei figli: vigorosa e in salute perché suo primo dovere era dare alla patria maschi capaci di difenderla. Non può esistere niente di più lontano da questo ideale della Malnata: una ragazzina che gioca nel fango con due maschi che la seguono quasi fosse il loro generale. Anche oggi, sebbene lontani dalle retoriche gridate di un regime dittatoriale, la versione della femminilità che ci si aspetta da tutte le donne (cis o trans) è quella di una femminilità addomesticata, accondiscendente e sempre attraente. E il controllo sul corpo femminile, diventa sinonimo di potere».

Fra i tanti amici, Noè il fruttivendolo è il solo su cui Maddalena e Francesca possono contare.
«Noè è uno dei personaggi che mi sta più a cuore. È un ragazzino a cui non è stato permesso di terminare la scuola, soggetto a un padre manesco che non perde occasione per umiliarlo. Eppure, nonostante tutto, è in grado di vedere il mondo con uno sguardo privo di pregiudizi, a ragionare con la propria testa e con la propria pancia, senza ingerenze esterne. E, sebbene si mostri intrepido quando è necessario difendere le persone a cui vuole bene, è lontanissimo dall'idea di mascolinità violenta e prevaricante che vorrebbe insegnare il regime. Ernesto e Noè sono i personaggi maschili che, con la loro gentilezza e sollecitudine, dimostrano che esiste un altro modo, al di fuori delle retoriche fasciste, per essere forti».

Il romanzo si apre con un delitto: è l'inevitabile risposta alla sopraffazione, reazione ad ogni tipo di sopruso?
«La fisica ci insegna che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Lo stesso vale per le persone. Un regime o un governo possono cercare di rendere un popolo acquiescente e umiliato, possono obbligarlo all'indifferenza e alla cecità selettiva. Ma anche nella diga più resistente si formano le crepe e, quando l'acqua vi si infiltra, la diga è già condannata. Ci sarà sempre qualcuno disposto a far sentire la propria voce, ad alzare la testa. La morte che apre il romanzo e che, in realtà, ne è quasi l'epilogo, è simbolo di questa rivalsa impossibile: due ragazzine che si ritrovano davanti a un uomo forte, violento, che le vorrebbe in suo potere, al quale rispondono: noi non siamo di nessuno». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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