A casa di Vincenzo Maria Siniscalchi: «La mia vita in una stanza tra Maradona, Proietti e Tinto Brass»

Avvocato (anche di Maradona) produttore di film, deputato poi nel Csm: «Mi ritrovai la toga sulle spalle dopo la morte tragica di papà»

Vincenzo Maria Siniscalchi
Vincenzo Maria Siniscalchi
Maria Pirrodi Maria Pirro
Mercoledì 9 Agosto 2023, 11:29 - Ultimo agg. 13 Febbraio, 00:00
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Ripubblichiamo l'ultima intervista all'avvocato Siniscalchi su Il Mattino in occasione della sua scomparsa del 12 febbraio 2024

I divani sono tutti rossi, il colore della passione. Ne ha avute tante Vincenzo Maria Siniscalchi, avvocato di Maradona, amico di Gigi Proietti, deputato per tre legislature, poi nel Consiglio superiore della magistratura, critico ma anche produttore cinematografico con Tinto Brass e tante altre cose racchiuse in una stanza, questa dove trascorre i pomeriggi d'estate, nella casa a Chiaia «che non finisce mai».

 

«A 92 anni mi muovo poco: sono di ritorno da Massa Lubrense, ho dovuto quasi rinunciare alle avventure in barca a vela tra Itaca e Odessa, alle arrampicate e alle villeggiature sulle Dolomiti». Su un tavolino, ha sistemato una copertina di un libro con le vette dei ghiacciai perenni, vicino a Don Chisciotte: «Uno dei miei preferiti», lo indica, inclinando la testa sullo schienale, oltre la scacchiera di volumi tra scaffali che traboccano di racconti, foto, oggetti, ricordi. In primo piano ci sono i tre nipoti. «Nell'ovale mia moglie Marinella de Nigris ritratta da ragazza, di 21 anni più giovane di me, conosciuta guardando un film insieme: bella, intelligente, brava; non so nemmeno dire come l'ho conquistata, per le mie mani e la voce, lei disse», si schermisce dell'unione, amorosa e professionale che dura da oltre 50 anni, suggellata da un matrimonio in laguna.

«Sponsor fu proprio Tinto Brass con la prima consorte che accondiscendeva alle sue bizzarrie ma era , nel contempo, un freno. Ora lo sento poco, ma sono riuscito a farlo assolvere sempre, in 14 o 15 cause». La più clamorosa per «Caligola» con la giustizia italiana che lo processò per oscenità, pur non avendo firmato lui il montaggio. E, in un'altra cornice, fa capolino Vittorio Gassman («Devo inviare un telegramma ad Alessandro, per la mamma»). E poi Gigi Proietti: «Un vero amico, mi manca». Con il mattatore «ha vissuto la notte», interviene Alessia, invitandolo a parlare della movida romana. «Dopo il teatro, andavamo in trattorie improbabili e, ogni volta, lui imbracciava la chitarra e iniziava a suonare, a cantare e, d'obbligo, a recitare le barzellette». La figlia ha impresso nella mente anche Diego Armando Maradona, nel giorno delle nozze nell'altro Sud, in America. «Avevo 13 anni, da un vetro intravidi Fidel Castro».

Non qui, nello studio legale di famiglia, a Santa Lucia, è custodita un'altra immagine potente, che tiene dentro la storia: Siniscalchi con il lider maximo, il campione argentino («Gli ho voluto bene») e Gianni Minà.

 

«Un altro amico», aggiunge Siniscalchi, «che non c'è più», scomparso dopo Proietti, che è stato anche un sostenitore delle campagne elettorali dell'avvocato-parlamentare. «Consistevano semplicemente in lunghe passeggiate tra la gente, per strada o in metropolitana», sorride il garantista dell'impegno nel centrosinistra di Romano Prodi, che vinse contro Gennaro Sangiuliano, oggi ministro della Cultura, allora «l'avversario più temibile nel collegio, sostenuto da Silvio Berlusconi in persona». La stanza contiene, poi, opere d'arte di un certo valore, dal dipinto di Ernesto Tatafiore alla fogliolina su un'enorme tela di Tullia Matania collocata sopra il divano. In un angolo c'è il pc, «che uso poco: preferisco la macchina da scrivere. Due Olivetti lettera 35 vanno riparate»: sono poggiate su una scrivania assieme alla copia dell'ultimo fascicolo sull'emergenza rifiuti studiato da poco, fino all'alba, per un'arringa. «Il lavoro mi ha dato una vita piena, è stato duro soprattutto con i terroristi, che rinunciavano alle udienze», riflette l'anziano saggio, e cita i suoi maestri, Antonio Guarino e Giovanni Leone, fondamentali nell'incoraggiarlo all'università. E poi, suo papà (il busto di Francesco Saverio è a Castel Capuano), modello di disciplina: «Morto tragicamente troppo presto, investito sulle strisce pedonali. Così mi ritrovai la toga sulle spalle». Proprio a un incarico deve, però, una crisi familiare.

«Mia moglie si allontanò, quando accettai di difendere un uomo che aveva ucciso l'ex convivente, colpendola con un posacenere». Un femminicidio aggravato dall'occultamento del cadavere, fatto a pezzi. «Ma, al principio, non voleva ammazzarla», la tesi accolta in Appello, riducendo la condanna dall'ergastolo a 28 anni. Diversa è la vicenda del cane precipitato dal quinto piano. «Una dei primi dibattimenti affidatomi da mio padre: Fido certo non poteva suicidarsi, ma guaiva e infastidiva i vicini. Non si arrivò mai a provarne la crudeltà». Invece, con Maradona «la giustizia fu ingiusta, lo distrusse la squalifica». Sul balcone sventola una bandiera con il volto del pibe de oro assieme ad altre sette del Napoli di Victor Osimhen e Khvicha Kvaratskhelia, campioni del terzo scudetto.

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