A casa di Franco Ricciardi: «Vivo in una nave ancorata alle periferie»

«Vado sempre dallo stesso salumiere, dallo stesso fruttivendolo, dallo stesso negoziante per la spesa. Lì, per tutti, sono semplicemente Francuccio: me stesso»

Franco Ricciardi nella sua casa di Posillipo
Franco Ricciardi nella sua casa di Posillipo
Maria Pirrodi Maria Pirro
Mercoledì 19 Luglio 2023, 11:00 - Ultimo agg. 20 Luglio, 07:26
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È arrivato a nuoto, una bracciata dopo l'altra, in questa casa sull'acqua, Francesco Liccardo: per tutti Franco Ricciardi, 56 anni, quasi una quarantina passati cantando. Qui, tra le sirene di Posillipo, vive la «sua lunghissima estate». Cavalcando l'onda del successo, ma portando con sé il sapore di sale e gli odori dell'infanzia, carica di ricordi e sudore, «quando andavo con mamma e i miei fratelli sulla spiaggia a Varcaturo, la domenica mattina, in autobus. E uno prendeva il minifrigo, l'altro la roba da mangiare, ma l'anguria era proprio una cosa chic tra teglie di pasta al forno e patate. Poi dovevi aspettare sei ore per fare il bagno...». Già allora, al momento della partenza e del ritorno nelle palazzine di Miano, così vicine tra loro da sembrare toccarsi, stringersi, e guardare dentro i desideri, il suo era «abitare al mare». In un appartamentino immaginato esattamente così, che oggi sembra galleggiare nelle insenature naturali tra palazzo Donn'Anna e riva Fiorita, tra archi bianchi e blu, raggiungendo il saloncino dal complesso residenziale solo dopo aver preso un ascensore fino al piano meno due, attraversato cunicoli e sceso più di una rampa di scale, in uno strano labirinto, bussando a porte diverse, identiche e senza targhetta.

La casa assomiglia proprio a una nave. «In qualche modo lo è: è stata progettata come se lo fosse», spiega il cantante, infilandosi una maglietta sopra i tatuaggi e il costume, dietro l'oblò.

Subito dopo, si siede al pianoforte, butta giù qualche accordo, e la sua diventa anche una nave da crociera. La musica è pop, rock, elettronica, postmelodica. «Madama blu», che in «Gomorra - La serie» è nella colonna sonora, appare come un cortocircuito spazio-temporale quanto la presenza dell'ex ragazzo di via Marche tra l'alta borghesia partenopea che un po' lo accoglie con simpatia e un po' continua a storcere il naso. «Di Miano, Secondigliano e rione Sanità, dove sono cresciuto, conservo qui dentro tutto: la fatica, per prima, perché sono le difficoltà che danno la spinta», dice Ricciardi, e saluta con la mano due giovani fan che lo aspettano sulla riva per un selfie. «Vengono anche con le barche, intonano serenate con i miei brani più famosi, urlano il mio nome per farmi affacciare». Anna, la sua compagna dallo sguardo indulgente, conferma che accade di notte. Fino a togliere il sonno. «Ma io non dimentico la strada, i sacrifici, le origini: dopo il concerto allo stadio Maradona, un altro sogno che si è avverato, sono corso a Scampia per sentire l'aria che tira». Ricciardi spiega che è lì, nelle periferie, che trova ispirazione e conforto. «Vado sempre dallo stesso salumiere, dallo stesso fruttivendolo, dallo stesso negoziante per la spesa. Lì, per tutti, sono semplicemente Francuccio: me stesso». Sul tavolo della cucina, c'è una busta con la mozzarella: altro piatto legato alla madre, che non c'è più, «ma resta», incorniciata in una foto e nei pensieri. I ritratti accanto sono quelli dei figli: «I miei maestri. La più piccola abita con la mamma, il più grande è a Londra: neolaureato, lavora, mi riprende appena sbaglio un post sui social, dove rispondo a ogni commento. E a lui non sfugge un errore: continuo ad avere problemi con l'acca fuori posto...». Invece, qui, davanti a Capri, ogni oggetto ha una sua collocazione peculiare, studiata. «E io non vorrei più essere altrove: evito oramai da anni cene fuori, al ristorante, mi godo questo regalo. Ma, prima di trasferirmi, uscivo al mattino e rincasavo solo per dormire». Perché, nella 167, «sott' a chistu sole nun se pò cchiù sta'/ A jurnata è longa, nun ce fa respira'»; mentre il vento, che si leva sotto costa, sembra scacciare con dolcezza pure i problemi.

 

A guardare bene, tra gli oggetti cari a Riccardi, mancano i premi: i due David di Donatello ricevuti grazie ai brani scritti per «Song'e Napule» e «Ammore e malavita» dei Manetti Bros, e l'ultima colonna sonora gli è valsa anche il Nastro d'argento. Forse, non mostrarli, è ancora un suo modo per stare, in mezzo al mare, con i piedi per terra.
 

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