Elvira Notari e la rimozione di un primato

Elvira Notari e la rimozione di un primato
di Federico Vacalebre
Lunedì 11 Luglio 2022, 08:58 - Ultimo agg. 15:34
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Ci sono momenti, in un libro come Elvira, che, proprio come alcune scene di «Qui rido io», ricordano magnificamente che cosa sia stata Napoli quando era ancora una capitale, almeno di produzione culturale. Nel film di Martone su Eduardo Scarpetta era il teatro al centro della narrazione, in Elvira c'è il cinema, anzi il cinematografo, il cui avvento ebbe a Napoli una vita, ed un'industria, particolare e particolarmente importante. Se nella vita del papà di Sciosciammocca si incontrano, come protagonisti secondari, Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo, Gabriele D'Annunzio e Ferdinando Russo, qui si raccontano gli incroci tra Roberto Troncone, fotografo diventato produttore con la Partenope Film, e il futuro fondatore della Titanus Gustavo Lombardo, per non dire di Matilde Serao, all'inizio poco interessata alla settima arte.
Formidabili quegli anni in cui il teatro cedeva il passo al nuovo intrattenimento popolare del cinema e le canzoni diventavano spunto per pièce (sceneggiate, certo) e film: Elvira Coda Notari, è lei al centro del romanzo della giornalista de «La Stampa» Flavia Amabile, ha firmato, tra l'altro, «A Marechiare nce sta na finestra» (1914), «Addio, mia bella addio... l'armata se ne va» (1915), «Pusilleco addiruso» (1918), «È piccerella» (1922), «Reginella» (1923), «Fenesta ca lucive» (1926)...

Gli abiti dei protagonisti di Elvira sono più logori di quelli sullo schermo in «Qui rido io». La storia della prima regista italiana inizia tra le baracche di legno in cui si attirano gli spettatori napoletani a vedere le magie del cinematografo, passa per il can can in programma al Salone Margherita prima dei film, racconta l'incanto di scoprire la vita in quelle prime immagini in movimento. Giovane modista, al lavoro con padre, madre e sorelle nella produzioni di cappelli per la Napoli bene, l'inesperta Maria Elvira Giuseppa Coda (Salerno, 10 febbraio 1875 Cava de' Tirreni, 17 dicembre 1946) trova in una volta sola le passioni della sua vita: Nicola Notari, che sposerà dopo qualche schermaglia iniziale, è un fotografo che sbarca la giornata vendendo croste ai turisti che vogliono portare a casa un ricordo pittorico della città, ma sogna di lavorare nella nascente industria cinematografica.
Lo farà, accanto alla moglie, al servizio della moglie, cosa non proprio normale in quei tempi, non facile da digerire, persino per lui, ma soprattutto per chi lavorerà con la Dora Film.

Già perché la ditta che i due metteranno in piedi è davvero «di famiglia», il nome è quello della seconda figlia, il protagonista di gran parte dei girati sarà il primogenito Eduardo, nel ruolo-stereotipo dello scugnizzo Gennariello, a lui prima caro, poi indigesto. È la vita, che Elvira vuole riprendere, che fa riprendere a Nicola.

Non ci riesce con un'eruzione del Vesuvio, ma recupera con un disastro marino e poi, ascoltando le storie di ordinaria violenza coniugale da una vicina, non le basta più essere testimone della vita, ma vuole narrarla, se possibile cambiarla. I film se li scrive e dirige, sceglie gli attori (tra cui ci saranno anche i giovanissimi Tina Pica e Carlo Pisacane), organizza le riprese, contratta con i giornali la pubblicità, donna manager prima che qualcuno potesse pensare anche soltanto lontanamente che una donna potesse essere manager. Nicola gira, e bene, l'asseconda, entra in crisi per la volontà della moglie di raccontare sempre storie popolari, femminili, violente, drammatiche, vere o verosimili, in sintonia con il Libero Bovio che insegnava che per fare una buona canzone «'nce vo' nu fatto dinto». Lei i fatti li vedeva attorno a sé, in una Napoli, in un Sud, depredato e dimenticato, nel popolo depredato, dimenticato, mandato in guerra. Quando racconta i soldati sta dalla parte di chi vede partire i figli o il marito, quanto racconta le donne picchiate e violentate, anche in casa, non c'è bisogno di dire da che parte sta, anche se poi deve fare i conti con la censura, soprattutto quella fascista. Dalla strada vengono molti dei suoi attori, ha iniziato riprendendo zuffe tra scugnizzi, poi trasformerà (dà loro lezioni, apre una scuola) in una diva, o quasi, l'insegnante di Eduardo, Rosella - Rosé in locandina - Angioni.

Sincronizza le immagini con musica e canto dal vivo, dando vita a una nuova tipologia contrattuale: i cantanti «girano» con la pellicola, in un vero spettacolo multimediale. Dai piccoli documentari su commissione passerà ai grandi film, avrà persino una sede a New York, dove proiettano le sue pellicole quando il regime - a cui lei è, quasi per dna, refrattaria - vorrebbe impedirle di farli vedere in patria. Comanda nei rapporti di lavoro come in quelli familiari, la chiamano «la marescialla», Eduardo la ama e ammira, ma patisce (e Dora ancor di più) la mancanza di quella libertà di scelta che la madre ha preteso per sé, inseguendola sino al sacrificio supremo. Le prime due maternità hanno ritardato la sua carriera, la terza sarebbe stata letale. Così, quando arriva Maria (non sono tempi di contraccezione), la affida alle suore, paga la retta per crescerla, cerca di far finta che non esista, mentre per marito e figli quella assenza è un assedio che tentano inutilmente di rompere.

Elvira non vuole saperne, c'è il cinema da fare, il popolo della sua Napoli da raccontare. Lei, salernitana, cresciuta in quella Cava de' Tirreni in cui si ritirerà dopo il tracollo professionale ed emotivo e da cui viene anche la Amabile, se n'è innamorata, sente di appartenere a Marechiare e ai vicoli, al Vesuvio e al Buvero. All'inizio il suo cinema racconta la grande bellezza paesaggistica, costa poco riprenderla, non ha bisogno di attori, poi toccherà ai drammi umani, alle lacrime (si dice che esigeva che quelle di scena fossero «vere», tanto da stuzzicarle in qualche modo personalmente), ai romanzi popolari, a melodrammi neorealisti che mostravano la Napoli pezzente dei bassi, delle donne eterne vittime, dei pescatori, degli scugnizzi, dei guappi, degli emigranti, dei senza niente. Quella che Mussolini voleva nascondere come polvere sotto il tappeto.

L'artigianato pionieristico del cinema deve lasciare, però, posto all'industria, Napoli non sarà più centrale nella produzione, e per le donne, non solo nel cinema, sarà bene attendere ancora un bel po' prima di sgomitare. Maria, raggiunta la maggiore età, lascia il collegio delle suore, Nicola, Eduardo e Dora sono al settimo cielo, Elvira è come appesantita da un macigno. Il suo mondo lavorativo affonda con quello familiare, lei si rinchiude a Cava de' Tirreni, la Dora Film senza di lei chiuderà i battenti in breve, nel 1930. Dei circa sessanta film e delle centinaia di corti prodotti tra il 1906 e il 1929 ci rimane ben poco, tre film («È piccerella» e «'A Santanotte» del 22, «Fantasia e surdate» del 26), qualche frammento. Persino le sue fotografie sono rare.
Nel romanzo della Amabile si respira il profumo della scoperta di una nuova forma d'arte, la speranza di usarla per cambiare almeno la propria vita, la disperata esigenza di libertà di una donna, affrancatasi da tutti (padre, madre, marito, figli, colleghi, città) ma non dal fantasma del proprio destino. Ed alla fine emerge una domanda. Perché la storia di donna Elvira Coda Notari, anche in tempi di nuovo femminismo, non è additata come storico esempio di indipendenza? Perché la prima regista del cinema italiano è così dimenticata?
 

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