Fabrizia Ramondino, ritorno ad Althénopis: il folgorante esordio riedito 40 anni dopo

Il romanzo riproposto in libreria dalla Fazi con l'introduzione di Chiara Valerio

Fabrizia Ramondino, ritorno ad Althénopis
Fabrizia Ramondino, ritorno ad Althénopis
di Ugo Cundari
Sabato 8 Aprile 2023, 10:00
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Difficile trovare un esordio letterario così folgorante come quello di Fabrizia Ramondino con Althénopis, nel 1981. Quattro anni prima aveva pubblicato per Feltrinelli un'inchiesta sui disoccupati organizzati commissionatale da Goffredo Fofi. Uno studio sociologico, dopo il quale ci si sarebbe aspettati, se romanzo doveva essere, una storia con risvolti sociali, di denuncia, di espressa vicinanza alle classi sociali che aiutava alla Mensa dei bambini proletari.

E, invece, Ramondino se ne esce con un romanzo di difficile collocazione. È sì di formazione ma spurio, zeppo di esergo e citazioni in lingue dal castigliano al tedesco come quella di Brahms: «Ecco, vi dico un mistero; non già tutti morremo, ma tutti saremo mutati; in un attimo, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba», e poi di salti temporali, di luoghi realistici ma trasfigurati.

Anche lo stile è anomalo, narrativo ma con frequenti sobbalzi poetici e contaminazioni da trattato che si avvale di note lunghe e dense, come nel caso di quella sull'opportunità di usare il termine «cazzo», o quella bellissima sul significato del nome della sua Napoli, che in origine si chiamava Partenope e significava occhio di vergine, «ma pare che i tedeschi, durante l'occupazione, trovandola così imbruttita rispetto alle descrizioni di Mozart e di Goethe, le mutarono il nome in Althénopis, che starebbe appunto a significare "occhio di vecchia".

Alcuni letterati apologeti della nostra città accampano l'interpretazione "occhio di saggio"; contro questa interpretazione però si oppone da un lato la constatazione che i barlumi di saggezza sono ancora troppo tenui nella nostra città, come altrove, per essere considerati duraturi; dall'altro il dizionario tedesco stesso, dove "saggio" suona "weise" e non "alt"». 

Questa digressione in nota la troviamo nelle prime pagine del romanzo, riproposto in libreria dalla Fazi (pagine 322, euro 18,50), con l'introduzione di Chiara Valerio, pochi giorni dopo il trasloco dell'archivio della scrittrice alla biblioteca Nazionale di Roma.

La storia raccontata dalla voce narrante, parte dal 1943 e arriva alla fine degli anni Sessanta. All'inizio siamo in un paesino tra la costiera amalfitana e quella sorrentina, a Santa Maria del Mare. Qui una ragazzina, affidata alla nonna per scappare dai bombardamenti di Napoli-occhiodivecchia, vive la sua infanzia felice insieme ai fratelli più piccoli e agli amichetti del posto. Il padre è assente, la madre indifferente. Poi lei parte al seguito del padre diplomatico, e quando questi muore la famiglia è costretta a un continuo pellegrinaggio di casa in casa, finché la ragazzina non si trasferisce al Nord Italia. Di questo periodo non sappiamo niente e la ritroviamo quando torna nella sua Napoli-occhiodivecchia per accudire la madre anziana e con lei rivivere il passato dell'infanzia, trasformandolo.

A 15 anni dalla morte dell'autrice affogata nelle acque di Gaeta, di quel che resta di Althénopis è difficile dire: ogni lettore si costruisce la sua interpretazione, come è giusto che sia per un romanzo volutamente ambiguo per poter risultare numinoso. Chiara Valerio, che è di Scauri, dunque conterranea della Ramondino che si trasferì a Itri, forse anche per questa affinità geografica è riuscita a tracciare la sua mappa inedita di Althénopis, definito come «il libro dei resti. I cocci, la cacca, il piscio, le ossa dei morti. Il gesto del raccogliere i cocci, e il defecare, per gara, spregio o perché così succede, i cimiteri di esseri umani e bestie vacche soprattutto e carcasse di fichi d'india, simili a dinosauri. Ed è questo, perché Althénopis è il romanzo dell'infanzia, di ciò in cui essa consiste, e persiste, cioè spreco e minuzie, ammesso che abbia senso segnare una differenza, dove con spreco ha da intendersi pure raccolte e collezioni di conchiglie e brecciole, di foglie ed esplorazioni». 

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