“La Castellana d'Ischia” tra fede e tradizione: libro sul culto dell'Incoronata di Costantinopoli

“La Castellana d'Ischia” tra fede e tradizione: libro sul culto dell'Incoronata di Costantinopoli
di Giovanni Chianelli
Sabato 5 Novembre 2022, 19:43
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“Sono numerosi i santi arrivati su di una barca o in una cassa di legno, di ferro, in una botte o in un sarcofago di pietra: così Mamante a Cipro, Giuliano a Rimini, Trofimena a Minori, Candida a Ventotene, Restituta a Lacco Ameno», (Ugo Vuoso).

Sulle isole santi e madonne arrivano dal mare, e non potrebbe essere diversamente. Arrivano per restarci, per diventare guide dei popoli, protettrici di comunità, parte fondante del genius loci. Non a caso uno dei titoli conferiti alla Vergine è “Odigitria”: deriva dal greco Odègheo e significa “conduco uno per la via”, così la madre di Cristo è condottiera, colei che mostra la strada. Lo scrive Giorgio Migliaccio che con Francesco Esposito ha curato “La Castellana d’Ischia - Fede e tradizione nel culto dell'Incoronata di Costantinopoli”, edito da OperaEdizioni; il racconto e la ricostruzione del culto per l’Incoronata di Costantinopoli nel borgo di Celsa, l’attuale Ischia Ponte, dove sorge l'omonima arciconfraternita e dove vanno in scena, ogni fine settembre da secoli, processioni che accendono fedeli e appassionati, isolani e curiosi venuti da fuori. 

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Il volume è diviso in 9 contributi di studiosi e teologi, laici e prelati, ischitani e non.

Per riflettere un interesse che va oltre la fede: “Nei luoghi di mare, e ancor più in un’isola, la memoria, unica vera ricchezza, è stata conservata tessendo oralmente memorie famigliari, generazione dopo generazione. Figurarsi in un piccolo borgo di mare come Ischia Ponte, il Borgo di Celsa, la cui vita sociale e religiosa viene vissuta all’ombra del più imponente simulacro della memoria ischitana: il Castello Aragonese” scrive Esposito che racconta come viveva, da piccolo, la preparazione alla festa. Di valore assoluto, storico e antropologico, alcuni contributi, come “Quando l’Incoronata se ne venne a Ischia” di Vuoso, che indaga la leggenda popolare della nascita del culto; o “«’e llacreme d’ ’a ggente». Richiesta e grazia per un’antropologia dell’ex voto” di Alessandro Basso dove si legge: “La religiosità popolare, da intendersi in disarmonia parziale o totale con la religiosità ufficiale, vive nei segni. I segni, ripetuti ed organizzati in un sistema più generale, costituiscono le basi del rito”. Già: segni iconografici e pratiche devozionali, colori e gesti precipitati da tempi e luoghi remoti che continuano ad accadere nei nostri, atti sincretici e magici che mantengono saldo il tessuto identitario dei piccoli posti evocando, in fin dei conti, come ogni rito di popolo, i passaggi di stagione: «L’ubriacatura di botti, diane, fuochi, processioni, orchestre e bande, durata cinque giorni, segna davvero la fine della stagione più calda e l’arrivo della dolce serenità dell’autunno», spiega Gina Menegazzi. Il ricco apparato iconografico, in cui brillano le immagini di Lucia De Luise, consegna ai lettori una pubblicazione pregevole, preziosa testimonianza, dice ancora Basso, «di un’evidenza che non sempre è conclamata: il cattolicesimo italiano non è stato e non è una religione unitaria».

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