Luciano De Crescenzo morto tre anni fa, il ricordo nella biografia di Andrea Jelardi

Luciano De Crescenzo morto tre anni fa, il ricordo nella biografia di Andrea Jelardi
di Andrea Jelardi
Martedì 19 Luglio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 20 Luglio, 08:04
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«Così parlò Bellavista» ha una trama labile, senza una storia in evoluzione né particolari colpi di scena, e pertanto la struttura del film è costituita prevalentemente dalla rapida alternanza delle spassose vicende di una famiglia borghese partenopea e delle tante persone che gravitano attorno a essa o nel condominio in cui abita, tra vari spaccati di vita casalinga e popolare.

Apparentemente potrebbe dunque sembrare una commedia leggera e senza pretese, eppure a un più attento esame non è difficile cogliervi il reale intento di Luciano De Crescenzo, che, come nell'esperimento didattico poi trasformatosi in libro, porta la napoletanità sul grande schermo in maniera obiettiva e naturale, tanto da far scoprire l'essenza della città persino a un milanese, il quale superando i pregiudizi e i condizionamenti dei luoghi comuni riesce a trovare il punto d'incontro con un napoletano e a diventarne amico. 

Per questo motivo in ciascuna lezione di Bellavista così come in ogni singolo episodio e talvolta persino in una semplice battuta è racchiuso uno spunto, un principio o un esempio pratico della napoletanità.

Inoltre se ne rivendica la caratteristica principale, e cioè il suo essere impercettibile e indefinibile, tanto che non è possibile classificarla sbrigativamente come pregio o difetto se prima non la si esamina in ogni sua manifestazione. 

In tal senso, Luciano amplia e rettifica il giudizio sulla napoletanità formulato dall'amico Raffaele La Capria, poiché, se il noto scrittore la definisce come una «civiltà accomodante nata da un'armonia che non c'è», lui all'opposto la considera un'attitudine ben radicata e generata da una evoluzione plurisecolare; di conseguenza sostiene la napoletanità si può proprio ritenere il frutto di un'armonia «che c'è», in quanto presente in ogni tempo, e per di più non può essere affatto «accomodante» proprio perché costantemente priva di legami fortemente condizionanti con la contemporaneità o con altri specifici periodi storici.

Insita nella Napoli migliore, immortale e senza tempo che lui ha persino elevato alla condizione di aggettivo, la napoletanità decrescenziana è insomma un modo di vedere la vita con mille sfumature e di viverla in perenne adeguamento. Nata da un primordiale bisogno di difesa ed effettivamente da «un'armonia che non c'era», ha poi però raggiunto e sempre conservato tale armonia, generando così una vera e propria filosofia e una forma comportamentale autonome, che logicamente sono radicate e diffuse soprattutto a Napoli. 

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Condizionando per tradizione ogni aspetto della quotidianità, la napoletanità ha perciò consentito nel corso dei secoli e in ogni nuova fase attraversata dalla città la sopravvivenza interiore delle «persone antiche» nei modi, nel linguaggio, nei valori e anche negli aspetti negativi. Ed è appunto di questa eterna «sopravvivenza» che nel film si coglie la traccia in ogni personaggio, tema o episodio, laddove di volta in volta il messaggio di Luciano è di ottimismo, di speranza o al massimo di pacata rassegnazione, ma quasi mai di pessimismo assoluto né tantomeno di semplicistica condanna senza il supporto di un ragionamento.

Nella sua prima opera cinematografica c'è insomma la Napoli che è sempre sopravvissuta, sopravvive e sopravvivrà ancora per merito dell'imperturbabilità della sua gente anche dinanzi ai drammi che certamente non mancano ma dei quali si riesce persino a sorridere se li si sottopone al filtro della napoletanità e si applica uno dei suoi massimi principi, vale a dire quello che sostiene che prima della risoluzione del problema conta trovare un modo per conviverci.

Ecco perché nella Napoli di Bellavista, dove potrebbe sembrare che nulla funzioni, tutto riesce invece ad andare avanti serenamente. 

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