Napoli Purp Fiction, viaggio alle origini del cinema napoletano con Mario Merola e Pino Mauro

Napoli Purp Fiction, viaggio alle origini del cinema napoletano con Mario Merola e Pino Mauro
di Federico Vacalebre
Domenica 1 Maggio 2022, 12:00
5 Minuti di Lettura

Premettendo che non esistono, e non sono esistiti, «guappi buoni», perché il guappo è «malamente» per definizione, Napoli purp fiction (Stylo24 edizioni, pagine 123, euro 10.40, distribuzione Amazon) è un viaggio nei b-movie napulegni anni Settanta-Ottanta, un duello tra Mario Merola e Pino Mauro, che estende al grande schermo la rivalità nata sui palcoscenici della sceneggiata, di cui, in qualche modo, quelle pellicole furono propaggine ed estremo rantolo, spesso sacrificando proprio la canzone, all'origine del genere stesso.

L'autore, Giancarlo Tommasone, napoletano, classe 1975, scrive da fan, citando come fonti le lunghe chiacchierate al telefono con Mauro e «buona parte dell'adolescenza passata a via Pagliano, a venti metri dalla casa» di Merola. Inizia il suo viaggio nei camorra western con «Sgarro alla camorra» di Ettore Maria Fizzarotti (1973) con Merola, per arrivare sino a «Guapparia» del 1984 di Stelvio Massi, sempre con Merola (battuta cult: «è ppe' mme? È pp'''o muorto»).

Comincia, insomma con un regista reduce dalla stagione dei musicarelli e la scena clou che dà il titolo al libro, chiamando in causa lo sdoganatore Quentin Tarantino, ma non solo. Andrea Staiano è un pescatore che torna al suo paese, Cetara, dopo aver trascorso sette anni in prigione, ingiustamente, certo. Anche a piede libero è vessato dal boss Cecere. Prima di farla finita con lui dovrà vedersela con uno dei suoi uomini più temuti: novello Bud Spencer, lo prende a pugni e paccheri, anzi usa a mo' di clava un polipo, che poi lascia sul malcapitato come sua firma, esclamando: «E mo' songh'io la Cassazione». 

Non senza la lente dell'ironia, Tommasone analizza anche i sottofiloni, a partire da quello «falce e molletta» di «Onore e guapparia» di Tiziano Longo con Pino Mauro («alla giustizia della mia gente ci penso io»), ambientato in pieno 1977 - tanto da richiede il condimento in «salsa proletaria» - con il guappo del rione Sanità che dovrà vedersela con l'antico amico Giggino o Barone, pronto a riempire di droga le strade di Napoli.

«Napoli...

serenata calibro 9» di Alfonso Brescia (1979) è la trasposizione di un fatto di cronaca, una rapina subita in un ristorante alle falde del Vesuvio da Pino Mauro: che non accettò il ruolo lasciando che, in un cortocircuito, fosse interpretato da Merola, contrabbandiere positivo costretto a sparare con due pistole, una per mano, in una scena poi citata dal solito Tarantino in «Django unchained». Ruolo da contrabbandiere anche per Mauro («I figli non si toccano!» di Nello Rosati, 1978, con tanto di citazione boviana: «'È figlie so' piezze e core», titolo poi di un film del 1981 con Merola). I motoscafi blu sono il pane anche del Merola protagonista di «I contrabbandieri di Santa Lucia» (Brescia, 1979, frase cult: «mangiate sti cunfiette»), purissimo (si fa per dire) proto-pulp, come il Pulcinella killer di «Il mammasantissima» (Brescia, 1979, «è chesta è a fine ca fanno l'uommene e mmerda», nel cast anche il futuro consigliere del ministro della Salute Speranza, Walter Ricciardi), o il vendicatore solitario di «Napoli... la camorra sfida, la città risponde» (Brescia, 1979, «i che sfaccimma e jurnata è accominciata»), che incontra per la strada anche un cronista de «Il Mattino», omaggio sin dal nome ad Enzo Perez.

Accanto alle due star veraci, si fecero notare Enzo Girondino («Lo scugnizzo» di Brescia, 79), oggi imprenditore edile e lanciato dal solito Merola nel ruolo dello scugnizzo Gennarino, e Mario Trevi («La pagella», Ninì Grassia, 1980). 

Nella Napoli «Palcoscenico» cantata da Sergio Bruni, la sceneggiata e il musicarello tentano di sopravvivere a se stessi ibridandosi, aggiungendo tematiche di mala, atteggiamenti da vendicatori delle ingiustizie subite, inseguimenti automobilistici, scazzottate, mitragliate, niente certo in confronto alla «Gomorra» che sarà: a proposito, in «Napoli... serenata calibro 9» il personaggio interpretato da Merola si chiama Salvatore Savastano. 

Non sono davvero film «da vedere almeno una volta nella vita», o almeno non nel senso in cui lo sono le opere di Truffaut e Scorsese, ma Tommasone sa dove mettere le mani, segnalando i doppiatori (Giuseppe Rinaldi sia per Merola che per Mauro, Ferruccio Amendola per Nunzio Gallo), le canzoni («Curtiello cu curtiello», «Giuramento», «Nun t'aggia perdere», «Tammurriata blu»), i coprotagonisti (Patrizia Pellegrino, Angela Luce, Enzo Cannavale, Leopoldo Mastelloni, Marc Porel, Ida Di Benedetto, Marisa Laurito, Rosalia e Beniamino Maggio), i compositori, gli sceneggiatori (Ciro Ippolito), le sortite extra moenia (in Sicilia, a New York).

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Nello sdoganamento sottoculturale che sta travolgendo gli antichi strumenti della critica (letteraria, cinematografica, teatrale, musicale) Napoli purp fiction è un curioso, e divertente, zoom su un fenomeno glocal: quei film costarono pochissimo ai produttori, incassarono bene, lanciarono carriere importanti, sono ancora programmatissimi dalle tv locali campane (e siciliane, e pugliesi, e laziali), restano come testimonianza antropologica (piazza del Plebiscito piena di automobili, le corse dei motoscafi blu, la camorra ancient regime, il delitto d'onore...).

Il tutto, raccontato nel libro come nei film, con un tono pop sorprendente, quasi la vetustà degli argomenti e delle morali evocati diventasse improvvisamente più leggera, up to date, grazie all'importazione e adattamento dei film poliziotteschi, di kung fu, della black exploitation. Tutto finisce in un frullatore illuminato dall'afflato melodico di Mario & Mauro, quando c'è, o dalle loro espressioni, rubate al Clint Eastwood di cui si diceva ne avesse una sola, ma veracissime, in perfetto stile «purp fiction». Dietro l'angolo, intanto, si preparavano il ciclone Nino D'Angelo e quello neomelodico che avrebbero puntato sui sentimenti, rinunciando a sporcarsi le mani con «l'onorata società». 

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