Trombetti e le sfide etiche degli anni di piombo nel memoir «La compassione»

Trombetti e le sfide etiche degli anni di piombo nel memoir «La compassione»
di Donatella Trotta
Venerdì 21 Maggio 2021, 21:25
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C’è un sottile filo rosso che collega, con coerenza, l’esordio narrativo di Guido Trombetti (nel 2010, con il romanzo sottilmente autobiografico Quando meno te l’aspetti, edito da L’Ancora del Mediterraneo) e il suo nuovo libro La compassione: una sorta di memoir tra realtà e fantasia pubblicato da Albatros (pp. 108, € 12,50, con due Prefazioni di Barbara Alberti e di Matteo Palumbo). Ed è il filo di quelle emozioni — ovvero dell’intelligenza emotiva — alla base della “lezione del canarino” di Raffaele La Capria: scrittore che non a caso ricorre nelle pagine di questo libro (ma pure nel romanzo d’esordio), con la metafora della «grande occasione» che ci sfugge perché «la vita è ciò che ci accade mentre ci occupiamo d’altro» e per il quale, appunto, «la letteratura significa trasmettere attraverso le parole un’emozione».

L’urgenza di narrare di Trombetti — autorevole matematico e umanista, da sempre uomo a più dimensioni diviso tra divulgazione scientifica, scrittura creativa, saggistica e giornalistica, impegno civile e maieutico attento ai giovani e nutrito di passioni trasversali quanto onnivore: dai grandi classici letterari al cinema, alla musica, al teatro, fino allo sport —  si innerva infatti in questa storia dalla struttura a matrioska come una profonda, rilkiana necessità interiore che per ammissione stessa dell’autore non intende tuttavia «costruire né un racconto edificante né la difesa di una tesi qualunque», ma solo «la narrazione di un caso, un frammento di esperienza che resta conficcata nella testa e nella carne» e che Trombetti ha «provato a trasformare in parole e frasi». Premessa necessaria per affrontare il testo, visto che ci parla dei tormentati e dolorosi anni di piombo tornati di recente con prepotenza alla ribalta delle cronache. Ed esplicitazione indispensabile anche come chiave di lettura dell’evocativo (ma impegnativo) titolo, che rinvia a orizzonti antropologici, filosofici e persino teologici sottesi al grande tema che Trombetti, laicamente, abbraccia con molti rinvii culturali nel suo libro: la compassione come pietas «nei confronti di tutto ciò che è vivo e sofferente»; e, dunque, come base dell’etica, nell’ottica di Arthur Schopenhauer. In cui il dolore (di qualunque segno) diventa, allora come in Simone Weil, una spada piantata nella carne della vita per separarci dall’effimero.

In un gioco del caso (e della necessità), e con un andamento a spirale di incidenze, coincidenze e sincronicità junghiane la trama del libro, narrata in prima persona dall’autore stesso nel suo ruolo di docente universitario di Analisi Matematica con il consueto timbro asciutto del suo stile paratattico, cinematografico, ci presenta così la storia di una giovane brigatista (reale) dal nome fittizio di Rosa Merrone, condannata all’ergastolo per reati di terrorismo in un regime di carcere speciale, di cui Trombetti diventa tutor nel tentativo della ragazza di intraprendere un percorso formativo universitario. Il mosaico narrativo procede per incastri di ulteriori tasselli di storie umane, troppo umane che si sfiorano, si uniscono e si separano connotando, con i protagonisti, microcosmi non soltanto sociali di appartenenza della Napoli di Calata Capodichino e della collina altoborghese di Posillipo, o del centro storico già sfondo di altri delicati amarcord di Trombetti. Che se in Quando meno te l’aspetti ridava voce alla sua appartenenza all’infanzia come a un paese con il bilancio di quattro compagni di scuola che si ritrovano trent’anni dopo la loro formazione, sconfinando poi nell’avventura fantastica con la successiva prova narrativa Magellano e il magizete. Storia di viaggi, scoperte e conigli con gli occhi rossi (Spartaco 2014) e approdando agli ironici racconti, verosimili e inverosimili, di Sei cose impossibili prima di colazione (Rogiosi 2016), qui affronta un nodo bruciante e non ancora sciolto del suo percorso esistenziale. Sospendendo qualunque giudizio. Da narratore puro. Ma anche da esploratore del mistero dell’esistenza che, nel libro, intreccia le vicende di un giovane claudicante di modeste origini, con il sogno del mare e un talento da calciatore come Garrincha, con il destino di una ragazza della Napoli bene, per un caso sorella della brigatista; delinea l’infausto fato di solitudine di un generoso medico del rione e l’impotenza dell’amico di sempre Paolo, cervello d’ingegnere in fuga a Roma, a salvarlo; e sfiora la misteriosa scomparsa di un lavavetri senza nome unendola alle storie di altre vite minime, ma indelebili nella memoria dell’io narrante che ne ricostruisce lucidamente, tra realtà e fantasia, il puzzle dei destini incrociati.

Non a caso, memoria è una ulteriore parola chiave di questo memoir che interpella il lettore con domande di senso, ultimo e penultimo: per l’autore, un filtro cruciale per una sorta di ritratto non soltanto generazionale che sembra aver fatto propria una convinzione di Octavio Paz: secondo il quale la memoria non è tanto «ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda», perché «è un presente che non finisce mai di passare».

Sia per le vittime, sia per i carnefici della Storia.

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