Coronavirus e crisi economica, il tracollo del turismo: «2020 perso, 2021 chissà»

Coronavirus e crisi economica, il tracollo del turismo: «2020 perso, 2021 chissà»
di Nando Santonastaso
Mercoledì 22 Aprile 2020, 08:00 - Ultimo agg. 13:54
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A guardare il bicchiere mezzo pieno non ci provano nemmeno. Albergatori, ristoratori, titolari di bar e strutture ricreative, noleggiatori di auto, tassisti, insomma tutta la filiera del turismo (che è lunghissima) sembra fin troppo consapevole che dopo quasi nulla sarà come prima. E chi anche spera in un parziale, miracoloso recupero della stagione estiva, fidando sul terzo e sul quarto trimestre, non si fa illusioni eccessive. Anche perché questo potrebbe persino diventare un falso problema di fronte al rischio, ancor più angosciante, di non avere certezze nemmeno sul 2021. Pessimismo eccessivo? Leggete come la pensa un addetto ai lavori, Alessandro Bembo, amministratore unico dell'hotel De la Ville di Avellino dove i turisti provenienti dall'estero sono di casa: «Bisogna evitare che i partner commerciali stranieri usino dichiarazioni spesso contraddittorie dei nostri politici per ottenere maggiore potere contrattuale nelle trattative, imponendo cioè condizioni economicamente non sostenibili per noi». E aggiunge: «Il rischio che Paesi con offerte turistiche molto simili alla nostra, come la Grecia, possano sostituirsi all'Italia è reale. Per questo, sarebbe bene che la politica facesse squadra, evitando che slogan all'apparenza anche simpatici vengano in realtà utilizzati dai media stranieri per gettare discredito sull'Italia».
 

 

Allarme tutt'altro che infondato. E soprattutto costosissimo in termini di Pil nazionale e regionali, fatturati e resilienza di aziende, occupazione. Qualche numero per inquadrare ancora meglio il rischio. La filiera turistica, che in Italia corrisponde al 13% del Pil, secondo i dati dell'Enit ha un volume di affari di 232,2 miliardi di euro e con 3,5 milioni di addetti copre il 15% dell'occupazione del Paese. La sola industria degli eventi vale 65,5 miliardi e annovera quasi 570mila addetti. Nel Mezzogiorno, dove la spesa turistica straniera (oltre 3 miliardi di euro su dati 2018) pesa per la metà del totale di settore, con la Campania che tra le regioni aveva registrato l'ultima migliore performance (2016-2018) in termini di presenze, lo scenario prima del Covid-19 era di luci e ombre. Alle prime apparteneva, ad esempio, il dato Istat sull'occupazione negli alberghi, il 22,5% del totale nazionale, inferiore solo al Nord Ovest. Alle seconde si lega invece la perdurante bassa classifica in termini di qualità complessiva dell'offerta turistica. Non a caso, prima che esplodesse la pandemia, i margini di crescita per i Mezzogiorno nel 2020 erano dello 0,3% pari a 87 milioni di presenze, e ciò a causa, spiegavano gli esperti, di un certo indebolimento della domanda interna e di un impatto non straordinario, ma comunque stabile, dell'attrattività internazionale.
 

E dopo l'epidemia? I dati di Srm fanno capire che cosa sta succedendo e, forse, succederà. Il calo previsto a livello nazionale oscillerà tra il 20% ed il 35%, con ripercussioni sul Pil tra il meno 0,6% e il meno 1 per cento. «Ciò significa spiegano i ricercatori del Centro studi di Intesa Sanpaolo - che la ricchezza a rischio del Paese - direttamente ed indirettamente collegata al turismo - in termini assoluti, è tra i 9 miliardi ed i 16 miliardi di euro. Nel Mezzogiorno la dinamica delle presenze è prevista in calo tra il 17% ed il 33,3%. L'impatto sul Pil territoriale varia tra 1 e 2 miliardi di euro di Valore Aggiunto (in base ai due scenari ipotizzati, meno e più pessimistico, ndr), con un relativo impatto sulla ricchezza totale dell'area tra lo 0,3% e lo 0,6%». Per la sola Campania l'analisi Srm prevede una possibile oscillazione del calo di presenze nell'ipotesi più amara di circa 7,3 milioni nel 2020, con una riduzione della domanda del 33,4% e un impatto negativo sulla spesa turistica di circa 2.500 milioni di euro. «Tale decremento metterebbe a rischio 2.080 milioni di euro (36,6%) del fatturato del settore». Nello scenario meno triste invece, si stimano, per il 2020, 4 milioni di presenze in meno, con un calo della domanda turistica del 18,6%, un impatto negativo sulla spesa turistica annuale di circa 1.400 milioni di euro e un taglio del fatturato del settore di 1.000 milioni di euro (-18%). In termini di ricchezza economica, in Campania il ridimensionamento della domanda turistica si stima «possa mettere a rischio tra i 445 e gli 800 milioni di euro di valore aggiunto, con un impatto sulla ricchezza totale dell'area tra lo 0,5% e lo 0,8%». Si tratta di un valore più alto della media nazionale e ciò dipende dal fatto che il sistema turistico della regione è più integrato, con un'offerta cioè non solo balneare ma anche culturale, enogastronomica e così via. In altre parole, se le potenzialità del turismo sono maggiori che altrove, di conseguenza anche il rischio, a partire dalla ricchezza prodotta, è maggiore.
 
 

«Io non credo che il 2021 possa essere condizionato in negativo per noi dalle scelte per così dire anti-Italia dei tour operators stranieri perché ormai la gestione dei flussi turistici avviene sempre più per scelte singole. Conta cioè più l'esperienza individuale che la scelta dei vettori», dice Giancarlo Carriero, presidente della sezione turismo dell'Unione industriali di Napoli.
E spiega: «Semmai mi preoccupa la capacità di restare in vita di molte aziende del settore perché il calo di quest'anno avrà riflessi economici drammatici: il governo ha fatto finora molte promesse ma di fatto la situazione economica delle imprese non è migliorata ancora». Lui, proprietario del 5 stelle lusso Regina Isabella di Lacco Ameno nell'isola d'Ischia, conta di aprire appena possibile: «Notiamo un'attitudine positiva della nostra clientela, ci telefonano, ci chiamano, quasi esclusivamente dall'Italia ovviamente e senza certezza di poter viaggiare per raggiungerci. C'è insomma un interesse a riprendere le vacanze». I problemi però non mancano: fino a quando ad esempio non ci saranno le linee guida del governo, sarà inutile prevedere come effettuare screening sanitari sul personale o adottare eventuali, ulteriori misure di sicurezza. «Noi pensiamo di fare screening una volta al mese per tutto il periodo, mi auguro 3-4 mesi, in cui saremo aperti. Se ci chiederanno di installare particolari impianti, ad esempio di ozonizzazione, dovremo aprire prima per essere in regola quando riaccoglieremo i nostri ospiti». Ma la variabile tempo anche per un ottimista come Carriero al momento è senza certezze. Per lui come per tutta la filiera.

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