Fondi Ue al Mezzogiorno, ecco le ragioni dei ritardi

Bandiere Europa
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di Nando Santonastaso
Mercoledì 26 Aprile 2023, 07:11 - Ultimo agg. 18:21
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I ritardi della spesa della Politica di coesione in Italia, pensata dall'Europa per ridurre i divari, sono certificati dai numeri. E quelli fissati al 31 dicembre scorso dalla Relazione presentata il 17 febbraio al governo dal ministro per gli Affari generali, il Sud e il Pnrr, Raffaele Fitto, sono inequivocabili. Su circa 65 miliardi di risorse assegnate all'Italia per il ciclo di programmazione 2014-20 - di cui 33 di Fondi ordinari europei, 20 di risorse nazionali e 12 miliardi di React Eu (i fondi aggiuntivi per la ripresa post Covid) erano stati spesi e certificati dalla Commissione europea solo 35 miliardi, il 54% contro una media europea del 69%. E va anche peggio per le risorse del Fondo sviluppo e coesione, soldi italiani destinati per l'80% al Sud: qui le percentuali di spesa delle due articolazioni (Poc, Piani operativi complementari, e Psc, Piani sviluppo e coesione) non superavano (a ottobre 2022), il 34% della spesa certificata. Lo ricorderà certamente oggi Fitto intervenendo alla Camera per fare il punto sul Pnrr e la sua probabile integrazione con l'Fsc, punto nevralgico della trattativa con Bruxelles sulla rimodulazione del Piano di ripresa e resilienza che sarebbe ormai definita.

Ma perché tanti ritardi e soprattutto al Sud? Perché percentuali così modeste nella messa a terra di risorse decisive per avvicinare il Mezzogiorno alle medie che contano in Italia e in Europa? Le risposte ci sono e tutt'altro che banali. Una premessa però va fatta a scansi di equivoci: il ciclo di programmazione settennale dei Fondi strutturali europei non coincide mai con le scadenze indicate sulla carta, nel senso che l'Ue concede altri tre anni per completare la realizzazione dei progetti e la loro rendicontazione. Il 2023 non è dunque solo il terzo anno del nuovo ciclo, 2021-27, ma soprattutto l'ultimo della precedente programmazione 2014-20. Quello, com'è accaduto anche nel 2016, in cui l'accelerazione della spesa sarà inevitabilmente maggiore. Va altresì sottolineato che i target di spesa da raggiungere vengono concordati anno per anno dai Paesi utilizzatori dei Fondi strutturali con l'Ue e nella stragrande maggioranza dei casi rispettati: non è un caso che pur essendo in ritardo, rispetto alla media europea, i target italiani a fine 2022 sono risultati quasi tutti in linea con la soglia indicata dalla Commissione europea, consapevole di dover in qualche modo sostenere gli sforzi di chi è rimasto indietro, per evitare il definanziamento delle risorse. A questo proposito va anche ricordato che rarissimamente l'Italia è stata costretta ad ogni fine programmazione a restituire risorse all'Ue. Almeno in questo non siamo peggiori di altri: nel 2020, ad esempio, si è saputo che nel periodo 2007-13 (quello in cui è stato finanziato tra gli altri il Grande progetto Pompei) il nostro Paese ha perso "solo" 270 milioni dei 30 miliardi assegnati, 66 in meno della Germania e un abisso rispetto ai 2 miliardi lasciati dalla Romania.


Il problema però rimane, solo in parte attenuato dal ricorso ai cosiddetti "progetti sponda" (che però l'Ue tende ora a scoraggiare) in base ai quali un ente locale o una Regione potevano dirottare su fondi ordinari i progetti in ritardo finanziati dai Fondi europei, allo scopo di non perderli (con conseguenze però sul piano della qualità dei progetti stessi a dir poco discutibili).

Il Sud paga carenze vecchie e nuove, al netto di clientele politiche e di una complessiva assenza di visione. L'inadeguatezza ad esempio della Pubblica amministrazione, dove la percentuale di tecnici competenti per la messa a terra dei piani è decisamente più modesta, e lo si sta constatando anche oggi con il Pnrr. L'età media piuttosto alta del personale pubblico e un basso tasso di scolarizzazione hanno reso poi ancora più impervio il già complicatissimo approccio ai regolamenti e alla burocrazia europei. E anche quando l'Ue se n'è accorta e ha cercato di intervenire, il rimedio è stato male interpretato: i 3 anni supplementari hanno convinto molti amministratori pubblici che si poteva guadagnare tempo anziché accelerare.

Altri freni, non meno decisivi. La crisi finanziaria di centinaia di Comuni meridionali: il pre-dissesto e il dissesto vero e proprio rendono impossibile l'accesso ai fondi europei. Per non parlare della giustizia amministrativa, con i tempi lunghissimi del sistema giudiziario e i tanti ricorsi che caratterizzano il sistema degli appalti, certificati da quelli che vengono definiti nel gergo comunitario i "rimborsi arretrati", ovvero non ancora liquidati. Ma sui ritardi hanno inciso, soprattutto tra il 2007 e il 2020, la scelta quasi obbligata delle amministrazioni meridionali di puntare su opere infrastrutturali, di durata sicuramente maggiore rispetto ad altri interventi; e la crisi degli investimenti pubblici che ha finito per zavorrare definitivamente il Sud. Al punto che anche per finanziare centri sociali, fogne e piazze non c'è stata altra strada che usare i Fondi strutturali europei: altro, in cassa, non c'era.

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