Fuga dei cervelli, Federica Ventriglia (Apple): «Scelta obbligata
da noi niente Big Company»

Ingegnere lavora nella sede di Cork: «Le società tech attirate dagli incentivi»

Federica Ventriglia
Federica Ventriglia
di Mariagiovanna Capone
Martedì 6 Giugno 2023, 07:28 - Ultimo agg. 17:34
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Una serie di coincidenze e Federica Ventriglia ha realizzato il suo sogno. Ventinove anni compiuti da poco, laurea in Ingegneria informatica all’Università Federico II, nel 2016 è una delle 17 donne su 200 ammessi alla prima classe accademica della Apple Developer Academy. Alcuni anni dopo, grazie a un Erasmus in Irlanda, partecipa a un recruitment day della Apple e con la laurea magistrale appena conclusa, parte per Cork per iniziare la sua carriera lavorativa come ingegnere di test nell’azienda di Tim Cook.

Venerdì il presidente Mattarella ha invitato i giovani ad andare all’estero per vivere «un’opportunità», non come «una scelta obbligata». La sua decisione è stata motivata da cosa?
«Dalla scelta obbligata, perché la Apple in Italia non ha sedi di produzione.

Il lavoro che sognavo, quindi, sapevo che avrei potuto svolgerlo soltanto fuori dai nostri confini».

Il suo sogno era la Apple?
«Lo è sempre stato, per questo da laureanda in Ingegneria elettronica ho partecipato alle selezioni della prima Apple Academy. Un’esperienza che mi ha fatto capire ancora di più quanto fosse importante per me diventare sviluppatore in questa società. Qualche mese dopo vinsi la scholarship (una borsa di studio) per partecipare alla Worldwide Developer Conference in California, il convegno internazionale organizzato dalla Apple che accoglie migliaia di menti geniali esperte in programmazione e design, e arrivò la conferma: questo era il mio sogno. Oggi ci lavoro da quattro anni, sono consapevole di esserci arrivata per una serie di coincidenze, che, lo ammetto, mi sono anche cercata».

Se non fosse stata brava, però, non l’avrebbero assunta.
«Vero, però mi sono anche lanciata per raggiungere il mio obiettivo. Mentre facevo l’Erasmus all’Università di Cork, vidi un annuncio di recruitment day della Apple e non me lo sono fatto dire due volte. Ho inseguito il mio sogno, ci ho creduto».

In Italia non sarebbe accaduto.
«Esatto, l’esperienza dell’Erasmus all’estero mi ha offerto una possibilità concreta, senza la quale forse non sarei mai arrivata a un colloquio di lavoro alla Apple. Andare all’estero deve essere, quindi, una scelta. E come me, tantissimi altri giovani italiani: almeno il 10% di connazionali sono in Apple a Cork, e più o meno tanti anche in altre società nel settore: Microsoft, Google, Oracle, Intel...».

Perché secondo lei?
«Perché venti anni fa, l’Irlanda ha investito sui giovani. Ha capito che doveva fare qualcosa contro l’emorragia di emigrazioni di laureati specializzati all’estero e ha pianificato una politica tale per incentivare alle multinazionali di mettere radici in Irlanda. Questo è stato un beneficio per ambedue le parti, con centinaia di aziende che hanno preferito l’Irlanda all’Italia, per esempio, e migliaia di giovani irlandesi non costretti a lasciare il Paese ma sostenuti a costruire la propria carriera qui».

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E così oggi è la Silicon Valley in Europa.
«Esatto, ma nel frattempo non sono stati con le mani in mano. Le università irlandesi hanno iniziato partnership con aziende, creando un contatto diretto con gli studenti che appena laureati hanno già un lavoro».

Ma lei ritornerebbe in Italia?
«Ovviamente dopo parecchi anni all’estero, potrei sentire la mancanza di alcuni elementi come famiglia e abitudini, perché la vita qui è assai diversa. Tornerei anche con uno stipendio inferiore ma le condizioni non sussistono. Il mio lavoro è bello, mi offre la possibilità di continuare a crescere, l’azienda inoltre applica il programma Work-Life Balance cioè crea equilibrio tra ore di lavoro e di vita. Sono tutti concetti che in Italia non trovi. Qui sei trattato da professionista anche a 25 anni, in Italia sei quello giovane… Conosco amici che sono rientrati in Italia, dopo parecchi anni all’estero, e dopo poco sono ritornati indietro perché non erano soddisfatti del lavoro da svolgere. Quindi, non i penso a rientrare, non sarei felice e realizzata».

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