Recovery, i fondi ci sono ma non partono i bandi: la spesa è ancora al 48%

Recovery, i fondi ci sono ma non partono i bandi: la spesa è ancora al 48%
di Nando Santonastaso
Domenica 5 Dicembre 2021, 09:35 - Ultimo agg. 18:23
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Per molti erano passati quasi in secondo piano, superati per novità e attualità (anche politica) dal dibattito sul Pnrr. Ma loro, i fondi strutturali europei della programmazione 2014-2020 (che in realtà si chiuderà il 31 dicembre 2023 in base alla proroga concessa per ogni ciclo dall'Ue allo scopo di favorire il completamento dei progetti), sono sempre lì. Con i loro tempi di attuazione e soprattutto con i ritardi di spesa che per l'Italia, come dice la commissaria europea agli Affari regionali, la portoghese Elisa Ferreira, sono ormai tradizionali, ovvero congeniti. Sarà pure vero, ma al 30 ottobre scorso, secondo i dati più recenti diffusi dalla stessa Commissione, la capacità di assorbimento delle risorse assegnate all'Italia non arrivava al 49% (48,2%).

Con la conseguenza che in 26 mesi dovremo riuscire a spendere i 32 miliardi che mancano all'appello, co-finanziamenti nazionali compresi. È vero che il dato in sé non è una novità assoluta anche perché, com'è avvenuto in passato, l'Italia ha concordato con Bruxelles gli standard annuali di avanzamento della spesa e quasi sempre è riuscita a rispettarli (dovrebbe accadere lo stesso anche a fine 2021). Né va dimenticato che ad ogni ciclo il nostro Paese si è distinto (si fa per dire) per recuperi anche impensabili negli ultimi mesi riuscendo sempre a non restituire a Bruxelles nemmeno un euro non speso.

Ma se in passato era possibile ricorrere all'escamotage dei cosiddetti progetti sponda (utilizzare per altri obiettivi, già cantierabili, le risorse destinate a programmi finanziati dai fondi strutturali ma non più realizzabili perché troppo lontani nelle scadenze), oggi quella scappatoia è molto più difficile. Morale: stavolta il rischio di vedersi cancellare i finanziamenti autorizzati per disimpegno automatico è decisamente più reale.

L'allarme riguarda soprattutto il Mezzogiorno (ma non solo) dove la percentuale di assorbimento certificata finora dall'Ue è inferiore di almeno 3-4 punti rispetto alla media nazionale. Va detto, per la verità, che su questi numeri pesano due avvertenze: la prima è che la spesa rendicontata dall'Ue è più bassa di quella effettiva che viene sempre trasmessa con qualche mese di ritardo; la seconda invece incrocia pienamente lemergenza Covid. Nel senso che la distorsione provocata su alcuni programmi dagli 11 miliardi di fondi React-Eu stanziati nel 2020 per finanziare le misure anti-Covid ha avuto un impatto non trascurabile, pari a circa due punti percentuali. Resta il fatto però che a fine ottobre, come detto, la spesa certificata a Bruxelles era ferma al 48,2% contro il 57,6% della media Ue. E che su un totale di 64,6 miliardi di euro per Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), Fondo sociale (Fse), Garanzia giovani e React-Eu, l'Italia deve spendere quasi 32 miliardi di euro entro dicembre 2023. Per la cronaca, il ciclo 2014-2020 ha destinato al nostro Paese, al netto dei co-finanziamenti, 44,7 miliardi di euro (a beneficiarne soprattutto le pmi con circa 10 miliardi) e che per il prossimo ciclo 2021-2027 (che di fatto non è ancora iniziato) le risorse concesse da Bruxelles saliranno a ben 83 miliardi di euro, secondo la proposta di accordo di partenariato presentata dalla ministra Carfagna all'Ue, l'80% dei quali destinati alle regioni in ritardo, dunque al Mezzogiorno.

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L'andamento lento della spesa dei Fondi europei ordinari apre però altri, inevitabili dubbi: quelli sulla capacità del Paese e in particolare del Mezzogiorno di riuscire a rispettare le scadenze del Pnrr. Ovvero, spendere più di 220 miliardi entro il 2026, 82 dei quali al Sud. Una sfida impossibile con questi precedenti se si tiene conto che le difficoltà sui Fondi (scarsa capacità progettuale in testa degli enti locali) rischiano di riproporsi anche per il Next generation Eu? Non la pensa così l'economista Massimo Deandreis, Direttore generale di Srm, la Società di studi e ricerche sul Mezzogiorno collegata al Gruppo Intesa Sanpaolo: «Non bisogna confondere le regole dei Fondi strutturali con quelle introdotte dal Recovery Fund e recepite dal Pnrr, che sono profondamente diverse. I commissari straordinari per le opere infrastrutturali, che richiamano da vicino il modello Genova, ne sono una evidente dimostrazione. Non possiamo certo fare sconti alle amministrazioni che hanno accumulato colpevolmente i ritardi ma ora dobbiamo avere la massima fiducia nel governo Draghi perché dalla spesa delle risorse straordinarie europee il futuro del nostro Paese». Sullo sfondo rimane però uno scenario inquietante: secondo il report annuale della Corte dei Conti europea, l'Italia occupava lo scorso anno il penultimo posto della graduatoria in quanto ad assorbimento dei fondi diretti ed indiretti che arrivano dalla Commissione europea. Una zavorra che il 2021 non ha cancellato e che impone dal 2022 un immediato cambio di passo: un obiettivo che nemmeno il rimbalzo del Pil post pandemia può far dimenticare.

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