«Il Recovery plan va accompagnato: servono investimenti per la ricerca e le imprese»

«Il Recovery plan va accompagnato: servono investimenti per la ricerca e le imprese»
di Nando Santonastaso
Sabato 11 Dicembre 2021, 09:00 - Ultimo agg. 19:25
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Secondo le stime più recenti, ipotizzando che tutte le risorse del Pnrr siano immesse nel sistema, il Mezzogiorno potrebbe raggiungere, nei prossimi 4 anni, una crescita del 12,4%, con un contributo legato alle policy pubbliche che, in base alla Svimez, arriverebbe a coprire il 58% della crescita cumulata del periodo (rispetto al 45% nel Centro Nord che crescerebbe però di un +15,6%). Ma «affinché l'obiettivo del governo si raggiunga bisogna incidere sulle divergenze e puntare su altri elementi del sistema per creare un meccanismo moltiplicativo» dice Srm, il Centro studi e ricerche sul Mezzogiorno collegato a Intesa Sanpaolo, in un approfondimento in chiave Sud proposto ieri alla presentazione del Rapporto sulla Finanza territoriale 2021, elaborato da sette istituti regionali di ricerca socio-economica tra i quali quello diretto da Massimo Deandreis. Cosa vuol dire? Che per il Sud emerge un problema legato alla qualità degli investimenti: le infrastrutture materiali, che erano e rimangono fondamentali per ridurre il divario, prevalgono nel Pnrr su quelle immateriali. Spiega Salvio Capasso, responsabile del Servizio Imprese e Territorio di Srm, che ha curato l'intervento di ieri: «Si riscontra al Sud una strategia incentrata sull'attrezzaggio primario del territorio mediante le infrastrutture. Ferrovie, ristrutturazione degli edifici, asili-nido, strutture socio-sanitarie, case popolari, interventi di riqualificazione urbana, reti elettriche, reti idriche, in misura minore viabilità interna e porti, costituiscono la gran parte dell'investimento del Piano al Sud. Rilevanza minore è data agli investimenti immateriali, ad esempio quelli sulla ricerca, in cui il Mezzogiorno è relativamente trascurato, così come poco rilevanti sono gli interventi diretti sul tessuto produttivo, ad eccezione di Transizione 4.0».

Il rischio è che «se il modello economico di crescita non si modifica nel medio periodo, l'immissione di maggiori risorse può generare una buona crescita del territorio, ma non la convergenza.

Questa può avvenire solo unendo risorse, progettualità, governance e qualità degli investimenti» spiega Srm. Insomma, gli 82 miliardi di euro destinati al Mezzogiorno e blindati all'interno del Pnrr sono un'enorme opportunità da non sprecare ma a condizione che non si affidi solo ad essi la capacità di trasformare l'ecosistema produttivo del Mezzogiorno (imprese, Pa, ricerca e formazione, capitale umano) per renderlo competitivo. In altre parole, occorre iniziare già da adesso a guardare oltre il Piano di ripresa e resilienza del Paese. Ad esempio, dice Capasso, alla possibilità di pianificare l'utilizzo dei 54 miliardi del Fondo sviluppo e coesione previsti per il Mezzogiorno, disponibili fino al 2027 e di totale gestione nazionale, per compensare la minore disponibilità di risorse prevista dal Pnrr per le infrastrutture immateriali. 

È uno dei temi più attuali, alla luce dell'iniziativa lanciata dal ministro per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna, di cambiare metodo per la programmazione dell'Fsc 2021-27 e di partire dall'ascolto dei territori per capire come utilizzare al meglio i soldi. Dice ancora Capasso: «Non tutti gli strumenti sono adatti a tutto, differenziarli è indispensabile. Non c'è alcun dubbio che il meccanismo di convergenza debba partire dall'infrastrutturazione materiale e da ciò che la circonda, considerati gli enormi ritardi del Sud. Ma poi bisogna accompagnare ad essa scelte di più lungo periodo: innovazione, ricerca, formazione e tecnologie sono un mondo che non manca nel Pnrr ma che va rimpolpato con altri strumenti, visto che tra Fsc e Fondi strutturali europei ci sono altri 100 miliardi da mettere a terra». 

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Insomma, suggerisce Srm, «si tratta di far emergere le potenzialità inespresse e utilizzarle come effetto leva per una maggior crescita dell'area». E di «acquisire una competitività di fattori che oggi manca», a partire dagli enti locali. «Riforme, governance e qualità degli skills professionali nella Pubblica amministrazione diventano, cioè, strumenti essenziali affinché l'obiettivo sia raggiunto». Ma qui iniziano le incognite. Srm, ripercorrendo l'analisi di Svimez nel Rapporto 2021 appena presentato, ricorda che «una quota rilevante di risorse del Pnrr sarà gestita a livello territoriale, in particolare dagli Enti locali che, secondo le stime, veicoleranno fino a 70 miliardi di euro (circa il 36% del totale)». Ben pochi però, in primis molti degli stessi sindaci dei Comuni più in difficoltà, sono disposti a scommettere su questa sfida, privi come sono soprattutto al Sud di personale e di competenze adeguate. Per la verità proprio ieri il Dipartimento della Funzione pubblica ha trasmesso alle Regioni (e alle Province autonome) gli elenchi dei candidati agli avvisi per la selezione dei mille professionisti ed esperti che dovranno supportare le amministrazioni locali nelle procedure di attuazione del Pnrr. I candidati per ogni profilo sono quattro volte il totale di professionalità richieste dalle Regioni che avranno tempo fino al 31 dicembre per convocare i candidati, svolgere il colloquio selettivo e conferire eventualmente gli incarichi. Come dire, ora tocca a voi. Più ottimista invece Srm sul ruolo delle imprese private: dall'Osservatorio sulle imprese manifatturiere del Sud «emerge come esse sono pronte a cogliere i vantaggi derivanti dal Pnrr e a fare nuovi investimenti nei prossimi anni». Ma «con il pubblico nel ruolo di guida».

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