La ripresa del Sud: due anni per tentare il «grande salto»

Il rapporto Svimez-Ref

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di Nando Santonastaso
Giovedì 14 Marzo 2024, 09:23 - Ultimo agg. 11:46
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La Campania è l'unica regione italiana (insieme al Trentino-Alto Adige) ad avere un saldo naturale della popolazione residente, ovvero la differenza tra nati e defunti, ancora attivo. Circa 55mila unità nell'arco ventennale 2002-2021 (il Trentino si ferma a 24mila). Ma è un primato che conta poco perché è anche la regione che attrae meno stranieri e soprattutto espelle più giovani in assoluto, circa 118mila nello stesso periodo, 28mila in più della Calabria che segue in classifica. Le nascite, insomma, non riescono a compensare le partenze e in termini di popolazione residente il saldo è negativo per oltre 70mila unità. «Senza dimenticare che le classi anagraficamente più mature sono oggi le più numerose e dunque l'invecchiamento della popolazione è inevitabile», puntualizza Luca Bianchi, direttore della Svimez che ha coordinato ieri la presentazione di uno studio meticoloso e ricco di spunti, curato dall'Associazione e dal Ref, dal titolo emblematico, «Dove vanno le regioni italiane?». Un punto di domanda che, come si sarà intuito, ha trovato proprio nelle dinamiche dell'andamento demografico una delle chiavi di risposta, considerato tra l'altro che in base alle proiezioni Istat il rischio che il Sud nel 2070 si riduca a poco più di 9 milioni (dai 20 attuali), tra denatalità e fughe al Nord o all'estero, è piuttosto concreto, come ricorda il presidente Svimez Adriano Giannola nelle conclusioni.

Destino segnato allora per le regioni meridionali? Non è detto, per la verità. Perché le previsioni 2023-25 del Rapporto, illustrato da Fedele De Novellis e Stefano Prezioso e approfondito dagli interventi del direttore del Centro studi di Confindustria Alessandro Fontana e dall'economista regionale Alessandra Faggian, dicono molto altro.

Intanto che è una regione del Sud, la Puglia, ad avere registrato in termini di Pil la variazione cumulata (relativa al periodo 2019-22) più alta di tutte in Italia, un +5,2% superiore persino alla Lombardia (la Campania è arrivata al 2%, la Basilicata al 2,9%). E che la spinta all'occupazione, certificata anche ieri dai dati più aggiornati dell'Istat, è stata robusta anche in quest'area (Puglia +5,3%, Campania e Basilicata +3,4%). In sostanza, la ripresa post Covid non ha tagliato fuori il Mezzogiorno anche se la frenata del sistema Paese è un dato ormai da tempo acquisito (la Lombardia nella classifica europea del Pil è solo la 61esima regione, la Campania è al 167esimo posto).

Detto ciò, il Rapporto mette però il dito nella piaga proprio sui possibili scenari dei prossimi due anni. E cioè che le "stime anticipate" Svimez-Ref per la crescita del Pil nel Sud indicano percentuali ancora inferiori a quelle delle altre macroaree del Paese. Lo 0,8% in più al 2025 è ovviamente anche più basso della media nazionale (+1,1%) ma tradotto regione per regione dice molto di più: la Campania, ad esempio, cresce in questa previsione al pari della media nazionale e con un contributo alla crescita cumulata del 2,5%, frutto soprattutto della spesa delle famiglie e di quella della Pubblica amministrazione, entrambe superiori al dato della media Italia.

Poco sotto la Puglia, a riprova del fatto che sono sempre più queste due regioni a trainare il Mezzogiorno, con una buona ma ancora parziale ripresa della Sicilia. «Ma i dati dimostrano anche che le variazioni tra le regioni sono sempre più tra settori, tra comparti produttivi cioè, e che non necessariamente ad esse corrispondono anche nuovi divari territoriali», dice Bianchi. Le costruzioni hanno spinto tantissimo Molise e Basilicata, ad esempio, il turismo ha fatto numeri importanti in Campana e Puglia e così via: insomma, il divario non è più solo quello tra Nord e Sud, che peraltro resiste alla grande purtroppo, ma anche quello che va misurato area per area, e che i grandi cambiamenti internazionali (guerre, inflazione ecc.) non potranno non influenzare. È anche per questo che il messaggio forte che arriva dal Rapporto chiama in causa il Pnrr, ritenuto l'unica vera compensazione al calo annunciato e perfino inevitabile delle costruzioni nel prossimo biennio dopo la fine del Superbonus. Svimez e Ref affermano che «i dati disponibili fanno vedere che la spesa pro capite degli enti locali è cresciuta, che il contributo del Pnrr c'è già e dovrebbe essere anzi rafforzato ma sempre vincolato dalla capacità attuativa». Lo dimostra il fatto che nonostante l'altissimo prezzo pagato per anni al mancato turn over della Pubblica amministrazione e le condizioni finanziarie a dr poco precarie di moltissimi Comuni, anche al Sud è aumentata la quantità di lavori pubblici finanziati dal Pnrr.

«Le tendenze per il 2024-25 sono segnate ancora da ampi margini di incertezza - spiegano gli studiosi - ma la crescita relativamente contenuta che si prevede per il biennio in buona parte dipende dall'implementazione del Pnrr, specie al Sud». È su questo fronte che si giocherà la partita anche perché, dice con molta chiarezza il Rapporto, «Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, al Nord, dovrebbero crescere di più». Se si considera che il Centro continua a perdere colpi, è difficile negare come fa il Rapporto che pur con i suoi percorsi differenziati «è al Sud che risiede la vera sfida del Pnrr». Ciò vuol dire interrompere «la frammentazione dei percorsi di sviluppo regionali che si è consolidata da inizio millennio fino alla pandemia». La sfida della rimodulazione del Piano è questa e per vincerla ci sono solo due anni. Basteranno?
 

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