Stati generali del Mezzogiorno: «Il Recovery fund non basta senza piani di lunga durata»

Stati generali del Mezzogiorno: «Il Recovery fund non basta senza piani di lunga durata»
di Nando Santonastaso
Giovedì 25 Marzo 2021, 11:00
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Stile sobrio e misurato, perfetta anche in questo la sintonia con il premier Draghi. Il ministro dell'Economia Daniele Franco conferma in chiusura degli Stati generali del Sud che il Pnrr «deve mettere mano all'abbattimento dei divari territoriali». Ma, avverte, «la loro dimensione è tale che non si può pensare che il ritardo del Sud venga assorbito nei sei anni previsti per la spesa delle risorse europee». Ci vuole una strategia di lunga durata, nella quale si utilizzino tutti gli strumenti già disponibili e «le risorse del Pnrr siano aggiuntive di quelle della spesa ordinaria». Insomma, rimboccarsi le maniche e pedalare ma insieme, «con la cooperazione di tutti», sottolinea Franco. E in questa parola c'è il senso politico della sfida del Pnrr, ovvero il tentativo di unire centro e periferia (vedi le Regioni, in primis) in una strategia il più possibile condivisa.

Il governo ci proverà sapendo che non sarà facile, specie dopo l'altolà arrivato dalle Regioni meridionali nella prima giornata dell'iniziativa voluta dalla ministra per il Sud Mara Carfagna. Un rischio che proprio quest'ultima, nell'ampio intervento di ieri, non sottovaluta pur nella consapevolezza che il Recovery Plan sarà decisivo per il Mezzogiorno. A partire dalla dotazione di risorse ipotizzabili: il 50% di quelle previste per le infrastrutture, ad esempio, ma anche quelle in campo con la missione più di stretta competenza della ministra. «Abbiamo scelto di legare insieme - dice Carfagna le principali priorità per lo sviluppo: assistenza contro la povertà educativa, lotta alle mafie, irrobustimento delle infrastrutture sociali e materiali per le aree interne, attrattività delle aree portuali, stimolo alla creatività e all'innovazione». In altre parole, Zes, ma «con una riforma che le renda davvero operative e attrattive per gli investitori e con 600 milioni di opere infrastrutturali dedicate»; e tutta una serie di interventi già in piena istruttoria, a prescindere cioè dal Pnrr.

Si va dai 900 milioni per le infrastrutture sociali nelle aree interne, ai 300 milioni per riconvertire i beni confiscati ai clan, dai Lep e alle 2.800 assunzioni di tecnici per le amministrazioni meridionali che saranno annunciati oggi dalla stessa Carfagna e dal collega Brunetta e che dovrebbero partire entro luglio. 

Misure specifiche, percorsi collegiali con il governo, fino a definire un capitolo Sud nel testo definitivo del Pnrr. La ministra, forte dell'entusiasmo che ha indubbiamente accompagnato la sua iniziativa (centinaia anche le proposte giunte al sito della Coesione territoriale su come far ripartire il Mezzogiorno), declina con tre parole chiave la sua visione per il futuro di quest'area: un Mezzogiorno dei diritti per dire basta alla spesa storica; dello sviluppo «per costruire un ecosistema favorevole alle imprese, grandi o piccole»; e del lavoro «perché il Sud è un giacimento troppo poco valorizzato».

Ovviamente, molto dipenderà dai tanti fattori in campo, primo tra tutti la fine della pandemia e subito dopo la durata del governo. Ma intanto, ricorda l'ex ministro del Sud Fabrizio Barca, oggi portavoce del Forum delle disuguaglianze in uno di migliori contributi della due giorni, bisogna anche fare ammenda degli errori del passato. E Barca ne evidenzia almeno quattro, chiamando in causa anche le sue responsabilità: la sordità della nuova classe politica nazionale di fronte alla crescita dei sindaci determinatasi in una ben nota stagione; la discontinuità sul rinnovamento della Pubblica amministrazione che pure era iniziato nel 2005 e poi si bloccò; il mancato ricorso alla grammatica dei risultati «per obiettivi, mai entrata nei radar della politica»; e l'incapacità di orientare il bilancio ordinario dello Stato ai territori, come lo stesso Draghi sottolineava nel 2009.

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E oggi, da dove si riparte? Un altro ex ministro, Claudio de Vincenti, ammonisce sul rischio che anche con le nuove procedure legate al Pnrr si ricada «nei diritti di veto di molte amministrazioni». E sui Lep, la madre di tutte le battaglie in nome dell'uguaglianza, avverte: «Guai a concedere risorse senza vincolo di destinazione», ovvero premi e sanzioni per chi amministra non possono essere più un tabù, come diceva il governatore della Campania De Luca. Il suo successore, Peppe Provenzano, oggi vicesegretario del Pd, che ha consegnato alla Carfagna un corposo dossier, ricorda «il tradimento del regionalismo, con enti di indirizzo diventati enti di gestione», come monito a dotare il Pnrr di una chiara filiera di comando. Pensare perciò di eliminare il Cipe come sempre De Luca aveva proposto nel primo giorno dei lavori, sarebbe un errore grave, dice il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Bruno Tabacci: «Equivarrebbe a ritenere inutile anche il governo visto che il Comitato è espressione anche dei ministri».

Intanto si può anche provare a proporre da subito misure concrete nel Pnrr. L'economista Lucrezia Reichlin ne lancia quattro, sottolineando come oggi serva però una forte responsabilizzazione della nuova classe dirigente del Sud, «più complessa di quella di 50 anni fa e più stanca e ferita». E cioè, una semplificazione di incentivi e sostegni per capire cosa ha funzionato meglio e capace anche di ricondurre le Zes alla loro ottima idea originaria, prima che venisse implementata dalle priorità di Regioni e sindaci; un progetto trasversale sui tempi della giustizia civile con un focus Mezzogiorno che il governo si impegna ad approfondire; un piano per l'estensione obbligatoria del tempo pieno nelle scuole del Sud e la costituzione di una Fondazione con ministra per il Sud, Miur e Mef per sostenere le università del Sud ma in posizione indipendente; e un piano di riconversione della struttura industriale che deve continuare a garantire occupazione al Sud («Il turismo non basterà») ma collegata a linee nazionali di sviluppo. Un input quest'ultimo che già adesso si potrebbe cogliere, ricorda l'imprenditrice di Novamont Katia Bastioli: puntare sulla bioeconomia circolare soprattutto al Sud sarebbe in linea con la transizione verde dell'Ue e del Pnrr ma soprattutto diventerebbe trasversale a lavoro, ambiente, alimentazione e così via. 

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