Sud, avanza la crisi: dopo il Covid si apre la piaga delle vertenze

Sud, avanza la crisi: dopo il Covid si apre la piaga delle vertenze
di Nando Santonastaso
Lunedì 15 Agosto 2022, 09:20 - Ultimo agg. 13:55
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C'è una discreta fetta di aziende e di lavoratori del Mezzogiorno ai tavoli di crisi industriali manifatturiere aperti o monitorati dal ministero dello Sviluppo economico. Molti di vecchia data, come nel caso degli ex lavoratori della Fiat di Termini Imerese, in Sicilia, ancora distanti da un credibile progetto di reindustrializzazione; o i trecento della Whirlpool di via Argine a Napoli, da tre anni e più in cerca di continuità produttiva e occupazionale; o gli oltre 400 della Dema di Somma Vesuviana, società del comparto aerospaziale alle prese con una pesante situazione finanziaria. Altri tavoli sono più recenti, come quelli delle medie aziende dell'indotto automotive (l'allarme più pericoloso sta suonando da qualche tempo a Melfi per effetto della crisi di vendite che sta interessando il comparto auto anche in Italia) e della logistica, ma sicuramente ancora più numerosi delle vertenze che sia pure con grande fatica si è riusciti ad avviare ad una sia pur parziale soluzione: è accaduto proprio di recente alla Bosch di Bari, scongiurando 700 licenziamenti con il passaggio dalla lavorazione dei motori diesel ad altre produzioni.

Si può calcolare in circa 15mila i lavoratori meridionali sui 95mila che, secondo l'Ufficio del sottosegretario Todde, risultano coinvolti in questa precarietà. I tavoli ministeriali, ad onor del vero, sono abbastanza diminuiti: erano 146 tre anni fa, oggi ne vengono calcolati 73 di cui 46 attivi e 27 monitorati e di questi ultimi 15 si riferiscono a crisi risolte anche attraverso l'utilizzo del Fondo di salvaguardia che prevede l'ingresso di Invitalia nel capitale delle aziende in crisi. Di questo gruppo fanno parte oltre a Bosch, le aziende Corneliani (Fondo Salvaguardia), Ideal Standard (Fondo Salvaguardia) Caterpillar, Alcar Industrie, Canepa (Fondo Salvaguardia), Elica, Grancasa, Grotto, Liberty Magona, Natuzzi, Sicamb (Fondo Salvaguardia), Slim fusina rolling (Fondo Salvaguardia), Firema, Caterpillar e infine Timken (che però non è classificato come tavolo).

Sicuramente i due anni di pandemia hanno contribuito a raffreddare in qualche modo la situazione ma che le crisi industriali in Italia non siano affatto cessate è facile scoprirlo. Gli ultimi ad aggiungersi all'elenco su sala nazionale sono il colosso delle costruzioni PSC, l'industria energetica Isab-Lukoil e l'azienda di infrastrutture Cmc. «La crisi politica e le elezioni anticipate non favoriranno per almeno due o tre mesi l'accelerazione di queste vertenze che ovviamente hanno bisogno di un governo nella pienezza delle funzioni per superare problemi e incertezze.

Questa frenata può compromettere i tentativi in atto da tempo per trovare risposte alle legittime preoccupazioni dei lavoratori», dice Giovanni Sgambati, segretario generale della Uil Campania. E aggiunge: «Purtroppo, come dimostra anche la vicenda della Whirlpool, i tentativi di sostituire un'industria che lascia con un'altra per garantire la continuità produttiva e occupazionale del sito sono quasi sempre un terno al lotto. Non è un caso che è difficilissimo per i lavoratori essere riassorbiti da chi subentra ed è per questo che il numero dei lavoratori coinvolti nei tavoli di crisi resta così drammaticamente alto».



Dietro le singole vertenze si legge però anche altro. Al di là di exploits che pure non mancano, anche al Sud, e della ripresa di comparti strategici come il turismo, è proprio nel Mezzogiorno e anche in alcune aree del Centro che il sistema industriale e produttivo italiano registra le maggiori difficoltà post Covid. Lo ha di recente certificato il Cerved che ha assegnato a Cagliari e al Sud Sardegna la palma (si fa per dire) delle realtà provinciali più a rischio. Secondo il report, tra il 2021 e il 2022, a livello nazionale le società a rischio di default sono cresciute quasi del 2%, passando dal 14,4% al 16,1% e raggiungendo le 99.000 unità (+11.000), con 11 miliardi di euro in più di debiti finanziari ora pari a 107 miliardi (10,7% del totale). «E le imprese fragili scrive l'Osservatorio Cerved sul rischio d'impresa - si trovano soprattutto al Sud, dove costituiscono addirittura il 60,1% del totale».

Dice Raffaele Apetino, segretario generale della Fim Cisl Campania: «Le vertenze, come quelle aperte in Campania, non vanno in ferie. I partiti abbandonino i social e si confrontino con la realtà. Serve un patto sociale, non promesse da campagna elettorale. Transizione digitale ed ecologica, reindustrializzazioni che non partono e formazione per affrontare il lavoro che cambia non sono nemmeno citati nei monologhi dei politici che si ricordano dei lavoratori metalmeccanici solo per la chiamata al voto. Se questi sono i presupposti, ci aspettano davvero momenti difficili soprattutto in Campania dove la desertificazione industriale avanza indisturbata e dove le aziende non vengono supportate dai fondi del Pnrr, stanziati ma ancora non assegnati».
 

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