Concordia, l'ufficiale di macchina: «Abbiamo rischiato la vita, i passeggeri ci insultavano»

Schettino al processo per il naufragio della Concordia
Schettino al processo per il naufragio della Concordia
Martedì 12 Novembre 2013, 12:21 - Ultimo agg. 13 Novembre, 10:36
5 Minuti di Lettura

Via, via, via! Qui facciamo la fine dei topi. Voci concitate, pur ferme, estratte dal Vdr, la 'scatola ner, e fatte sentire per la prima volta oggi al processo dai pm, hanno reso al meglio il dramma a bordo della Costa Concordia il 13 gennaio 2012. Il via autoliberò dai doveri gli uomini di macchina della nave. Rimasero fino all'ultimo dentro la pancia della nave, ma non si doveva morire. Furono i primi a capire che la Concordia era persa: loro lavorano sotto il livello del mare, a fianco di motori, generatori, apparati elettrici e tutto era allagato. C'era il mare e a decine videro la morte: gli ascensori erano in black out e, mentre la Concordia si piegava, scapparono in tempo per le 'sfuggitè, cunicoli con scale a pioli che portano ai ponti superiori, quindi alle scialuppe. Uomini come topi. Ma si salvarono.

Oggi hanno testimoniato i primi due di loro, presente in aula, come a tutte le udienze finora, il comandante Francesco Schettino per il quale oggi è stata anche la giornata di un nuovo gossip: la testata tedesca Bild ha pubblicato le foto di Schettino con una giornalista della Rai ipotizzando: «Ha abbandonato la nave, ora abbandona la moglie», scrive la Bild. Uno dei testimoni è il terzo ufficiale di macchina, Hugo Di Piazza, di Palermo: «Ero alla mia prima guardia, ispezionavo il ponte inferiore, presso la cambusa e i magazzini. Sentii un forte boato, erano le 21.45. Andai verso un telefono ma arrivò un'ondata, un getto di una decina di metri che mi prese di spalle e mi travolse».

«Ebbi il mare alle ginocchia. Filtrava acqua anche da una porta stagna, aprii altre due porte di altri compartimenti e arrivava acqua anche da là. Poi una 'sfuggità era bloccata, allora continuai a scappare verso poppa e riuscii da lì a salire in centrale macchine». Pochi giorni dopo il naufragio lo raccontò ai carabinieri e pianse. «Raggiunsi - racconta oggi - la sala macchine, il direttore stava parlando col comandante Schettino, intorno c'era panico, l'acqua stava salendo. Che vuol dire panico? Quando sei in centrale e hai l'acqua ai piedi, su una nave vuol dire che sei lì per lì per morire».

Allora il pm Stefano Pizza ha fatto sentire una telefonata interna alla nave tra Schettino e il direttore di macchina Giuseppe Pillon. «Ma dove abbiamo toccato?», domanda anche Schettino. Sono le 22.09. E Pillon, con comprensibile reazione (non era la prima telefonata con la plancia): «Ma comandante, qui è tutto perso, i generatori 4, 5, 6 non ce li abbiamo, e anche l'1, 2 e 3. E il quadro elettrico principale pieno d'acqua. C'è uno squarcio evidentemente».

In udienza i pm tirano fuori un'altra telefonata, questa captata sul cellulare di Di Piazza, che a un amico diceva pochi giorni dopo il naufragio: «Siamo stati dalla centrale macchine ad avvisare il ponte di comando. Fino a quel momento il ponte non ci aveva preso in considerazione, non ci aveva chiesto nulla. Dalla centrale macchine dicevamo al ponte: comandante, qui è tutto allagato ... Ma quello non capiva. Eravamo dei poveri disgraziati, che gliene frega a quelli se moriamo». E ancora dalla 'scatola nera' i pm propongono una telefonata tra centrale macchine e il 'safety manager' della nave Martino Pellegrini. «L'acqua è arrivata al ponte zero, è a metà ascensore di poppa, non possiamo stare qua. Via, via, via», si sente dire. E ancora: «Martino, dobbiamo abbandonare la centrale qua, eh!». «Allora, capo, andate via», risponde il safety manager al secondo ufficiale di macchina (in gergo, capo macchina, quindi capo) della nave Tonio Borghero, anche lui teste oggi a Grosseto con Di Piazza. «Il ponte zero era perso - ricordava in aula Borghero - tutte le macchine non funzionavano, la sala macchine fu persa in 20 minuti, si attivò il generatore d'emergenza, che non partiva, con un cacciavite messo a fare contatto - ricorda Borghero - Pensai, qui facciamo la fine dei topi, andammo tutti via». Anche Borghero, poi, è uno di quelli che, sbarcato al Giglio, vide Schettino su uno scoglio di notte «mentre telefonava, ma non so dire altro».

Però proprio sull'accusa di abbandono della nave, la più infamante, la difesa di Schettino ritiene di aver avuto, finora, testimonianze favorevoli. Lo stesso imputato lo evidenzia a fine udienza: «Ho capito che c'è la volontà di accertare la verità», «stanno emergendo molti elementi sull'accusa di abbandono della nave. Sono fiducioso nel prosieguo del processo, con la serenità che lo contraddistingue sarà accertata la verità esattamente come si sono svolti i fatti».

LA TELEFONATA DI SCHETTINO IN SALA MACCHINE «Ma dove abbiamo toccato?», domandò il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino alle 22.09 parlando via telefono col direttore della centrale macchine Giuseppe Pillon. «Ma comandante, qui è tutto perso, i generatori 4, 5, 6 non ce li abbiamo, e anche l'1, 2 e 3. E il quadro elettrico principale pieno d'acqua. C'è uno squarcio laterale, evidentemente, ma non l'ho visto». Lo si ascolta in una telefonata, fatta sentire dai pm stamani in udienza, tra il ponte di comando e la sala macchine della Costa Concordia dopo l'urto contro gli scogli.

Ascolta la telefonata:

Francesco Schettino si informava della situazione con il direttore della sala macchine Pillon mentre la nave imbarcava acqua. Della stessa telefonata (ma non l'unica fra ponte di comando e sala macchine) e di altre, Hugo Di Piazza colse alcune frasi dopo aver raggiunto la centrale macchine, essendo riuscito a scappare dai reparti già allagati. «Sentivo Pillon e l'ufficiale Alberto Fiorito - ricorda - parlare, col telefono della centrale, con il ponte di comando. Sì, parlavano col comandante».

© RIPRODUZIONE RISERVATA