La scuola modello nel Napoletano è dei soci del boss: sarà abbattuta

La scuola modello nel Napoletano è dei soci del boss: sarà abbattuta
di Ferdinando Bocchetti
Venerdì 5 Giugno 2020, 23:16 - Ultimo agg. 6 Giugno, 08:01
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Sequestrata la scuola dei palazzinari di camorra. La Garden House, l’istituto parificato di via Caracciolo a Marano, ambitissimo dalle famiglie più in vista per la molteplicità e l’accuratezza dei servizi offerti, era ancora nelle disponibilità di Antonio, Benedetto e Luigi Simeoli, gli imprenditori del mattone condannati in via definitiva per il loro legame associativo con il clan Polverino. Il decreto di sequestro - su richiesta dei magistrati della Dda - è stato emesso ieri dalla Sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli. Non solo la scuola, la cui gestione era curata da anni da una società risultata estranea alla vicenda penale. Ai Simeoli è stato sequestrato un impero immobiliare composto da due lussuose ville, due box, due depositi, sei locali commerciali e tre appezzamenti di terreno. Il tutto per un valore di circa 10 milioni di euro. Impero del quale Polverino, secondo la Dda, era socio occulto, in base a un patto con Antonio Simeoli: parte del denaro ricavato, è emerso, veniva versato nelle casse della cosca e poi usato per alimentare il traffico di droga e per pagare gli affiliati. 

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GARDEN HOUSE
Il caso dell’istituto Garden House, che accoglie circa 400 bambini suddivisi tra scuola dell’infanzia (c’è anche un nido), elementari e medie, scoppiò lo scorso dicembre. La Dda aveva già avviato le prime indagini e al cospetto del pm Maria Di Mauro fu convocato l’ex dirigente comunale dell’area tecnica Pasquale Di Pace. Al funzionario fu chiesto di verificare la regolarità urbanistica dell’immobile, realizzato tra il 2004 e il 2005 con un permesso di costruire in sanatoria e una successiva Dia (Dichiarazione di inizio lavori). I controlli attestarono che il benestare sull’istanza di condono, rilasciato dal Comune una quindicina di anni prima, non poteva essere concesso. L’ufficio tecnico dovette pertanto revocare quei permessi e dichiarare abusiva e inagibile la struttura. L’iter proseguì con un’ordinanza sindacale, sottoscritta alla vigilia di Natale, che imponeva la chiusura dell’immobile per mancanza dei requisiti di sicurezza. Qualche giorno dopo il sindaco Rodolfo Visconti, alle prese con le proteste e le pressioni esercitate dai genitori e dai gestori della scuola, tornò sui propri passi e, sulla scorta di una perizia tecnica di parte, diede il via libera alla riapertura fino al termine dell’anno scolastico. Il destino dell’immobile di via Caracciolo era però segnato, poiché il Municipio era sul punto di emettere anche l’ultimo atto amministrativo: l’ordinanza di abbattimento. Atto perfezionato nei giorni scorsi. A settembre, insomma, l’immobile sequestrato ieri - che per anni ha accolto e “allevato” i rampolli di noti politici del territorio, imprenditori e persino esponenti delle forze dell’ordine - non riaprirà i battenti e si sposterà altrove. Ma le indagini proseguono per accertare le responsabilità di tecnici e politici che tra il 2004 e il 2005 consentirono ai Simeoli di mettere in piede un business che ha fruttato - in termini di canoni di fitto - centinaia di migliaia di euro.

L’IMPERO
È un patrimonio immobiliare enorme, quello nelle disponibilità della famiglia Simeoli. Ville, box, locali commerciali, depositi e frutteti. Mezza città è stata costruita dalla potente famiglia, fondatrice di società e cooperative edilizie che hanno egemonizzato per anni il mercato del mattone maranese. Parte di questo tesoro è stato già sequestrato e confiscato negli anni scorsi. I primi provvedimenti risalgono addirittura al 2001, ma ci sono voluti molti anni prima che le strutture finite al centro delle inchieste giudiziarie fossero sgomberate e acquisite dal Comune di Marano. Ieri sono stati sequestrati, con un iter propedeutico alla confisca, altre due ville di via Marano-Quarto, sei locali commerciali, due depositi e tre terreni. Alcuni di questi beni erano già finiti sotto chiave anni fa, ma furono poi restituiti ai Simeoli poiché non ritenuti frutto del legame associativo con i Polverino. Una ricostruzione sconfessata dai magistrati della Dda e condivisa dai giudici del tribunale di Napoli.

I RAS DEL MATTONE
Antonio Simeoli, alias “Ciaulone”, è stato per quasi un ventennio - insieme con il cugino Angelo Simeoli - il più influente imprenditore del mattone dell’hinterland.

I suoi figli, Luigi e Benedetto, ne hanno seguito le orme e curato gli interessi di famiglia. Furono arrestati nell’ottobre del 2013 e sono stati condannati in tutti i gradi di giudizio. Per un lungo periodo “Ciaulone” è stato detenuto in regime di 41 bis. Interrogato nel corso del processo di primo grado, riferì di essere stato «vittima delle estorsioni del clan Polverino». Per i pentiti, da Perrone a Di Lanno, «le imprese dei Simeoli erano finanziate da Giuseppe Polverino e i proventi degli affari del mattone venivano reimpiegati nel traffico di stupefacenti». I Simeoli, secondo quanto emerso dai processi, hanno finanziato le campagne elettorali di numerosi politici ed erano «i padroni dell’ufficio tecnico di Marano». 

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