Andrea Girardin Gibin ha 52 anni, è un dipendente della ditta Sigifer e la notte della strage di Brandizzo era caposquadra per i lavori di sostituzione dei binari. Ai suoi ordini c’erano cinque uomini, che sotto la sua supervisione hanno cominciato a lavorare nonostante il referente di Rfi Antonio Massa non avesse ricevuto l’autorizzazione a operare dalla dirigente di movimento di Chivasso. I cinque operai sono tutti morti, Girardin Gibin si è salvato per uno di quei casi della vita insignificanti nell’immediatezza ma alla fine decisivi. «Sono vivo per un martello», ha raccontato Gibin a chi ora gli sta accanto. «Stavamo lavorando sui binari. Uno dei ragazzi mi ha chiesto di passargli un martello. Così mi sono sollevato e ho fatto due passi. È stato in quel momento che ho visto i fari del treno, d’istinto sono saltato sull’altro binario». Così ha descritto gli ultimi istanti prima della strage l’unico sopravvissuto dell’incidente, ora indagato per omicidio plurimo con Antonio Massa, il tecnico di Rfi che quella notte ha dato il via libera all’inizio dei lavori, non seguendo le indicazioni della dirigente di Rfi Vincenza Repaci, che seguiva tutto dalla sala operativa.
Brandizzo, il sopravvissuto sotto choc
Dalla sera dello schianto il caposquadra è chiuso nella sua casa di Borgo Vercelli, né a lui né a Massa i magistrati della Procura di Ivrea hanno ancora notificato l’invito a comparire: prima degli interrogatori intendono ricostruire il quadro completo della vicenda. «Andrea Girardin Gibin è una persona profondamente provata e addolorata per la perdita di compagni di lavoro, che erano anche amici.
«Come un parco giochi»
Ieri intanto i magistrati hanno ascoltato nel ruolo di testimone Francisco Martinez, 22 anni, collega della Sigifer e amico di Kevin. «Quattro mesi fa a Chivasso ho rischiato di morire come Kevin. Se un collega non mi avesse afferrato per la maglietta tirandomi via dal treno, non sarei qui a raccontare», ha ripetuto davanti ai pm ciò che ha riferito nei giorni scorsi. Con lui aveva parlato anche un altro collega e amico, Giuseppe Cisternino: «Ci mandano sui binari come se fosse un parco giochi. Quella sera avrei dovuto lavorare con loro, ma non mi hanno chiamato. Mi sento un miracolato». Intanto sotto casa di Kevin Laganà, 22 anni, la vittima più giovane, continuano a riunirsi amici e familiari. «C’è una perenne atmosfera di attesa, sarà così finché non ci saranno i funerali», dice lo zio Giovanni Caporalello. «Non sappiamo ancora nulla - aggiunge lo zio insieme al padre del ragazzo morto, che rimane in silenzio - nemmeno quando ci riconsegneranno la salma. Stiamo ancora aspettando, nel frattempo continuano ad arrivare gli amici di mio nipote. Lui voleva bene a tutti, era un bambinone, conosceva molta gente. Ogni giorno è così e lo sarà finché non ci permetteranno di celebrare i funerali».
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