Pizzo, 15 vittime del clan a Castellammare: nessuno chiede i danni

Numerosi commercianti taglieggiati

Il mercato
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di Dario Sautto
Giovedì 6 Luglio 2023, 10:31 - Ultimo agg. 10:40
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Un lunghissimo elenco di imputati e di accuse. Accanto, un altrettanto lungo elenco di vittime del racket: oltre quindici tra imprenditori e commercianti taglieggiati dalla camorra. In aula, però, se n'è presentato solo uno, per specificare che lui è il fratello dell'imprenditore e che, dunque, hanno sbagliato a notificargli quegli atti. Tutti gli altri, invece, hanno deciso di non costituirsi parte civile contro il gotha del clan D'Alessandro, una trentina di imputati accusati di aver imposto a tappeto le estorsioni di camorra a Castellammare e dintorni. Nel lungo elenco di imputati figurano anche i nomi di quelli che sono ritenuti i boss: Michele D'Alessandro (classe 1978) e Antonio Di Martino (figlio del capoclan dei Lattari Leonardo), ma anche una schiera di esattori e fiancheggiatori dei due clan della zona, oggi legati da una solida alleanza che ne fa uno dei cartelli camorristici più potenti e pericolosi.

In totale, sono 29 gli imputati finiti a processo con le accuse, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, detenzione di armi, traffico di droga, per fatti cristallizzati all'epoca che va dal 2011 al 2015. Le indagini, condotte dai carabinieri e coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, non sono mai culminate con arresti, nonostante nel corso dell'inchiesta «Cerberus» siano emersi anche rapporti opachi tra alcuni elementi di spicco del clan D'Alessandro e un ex consigliere comunale di Castellammare di Stabia, così come le mire della camorra sugli appalti pubblici: su tutti, la gestione delle ambulanze, la nettezza urbana e i lavori alla Circumvesuviana.

Il fascicolo è stato ripreso di recente dal pm Giuseppe Cimmarotta, che rappresenta l'accusa a processo.

Due imputati l'altro Michele D'Alessandro (classe 1992) e Antonio Rossetti hanno scelto il rito abbreviato per ottenere uno sconto di pena in caso di condanna, e conosceranno l'esito del processo già nei prossimi giorni. Invece, tutti gli altri sono finiti alla sbarra dinanzi al tribunale di Torre Annunziata (presidente di collegio Maria Camodeca, a latere Gabriella Ambrosino ed Enrico Contieri) nel processo partito ieri. Né il Comune di Castellammare né le associazioni antiracket sono presenti come parti civili, così come nessuno dei commercianti e degli imprenditori vessati all'epoca dei fatti chiederà i danni al clan D'Alessandro. Tra questi ci sono anche i titolari di diverse pescherie che, secondo l'Antimafia, erano costretti a rispettare le regole imposte dalla camorra. Tra gli imputati figurano anche i nomi di Teresa Martone (vedova del defunto capoclan Michele D'Alessandro) che, insieme ad altre due donne, è accusata di aver gestito la cassa comune del clan. E ancora, elementi di spicco come Nino Spagnuolo, Augusto Bellarosa e Luciano Verdoliva, questi ultimi due tuttora a piede libero.

Intanto, in serata è arrivata la condanna in primo grado per due rampolli del clan D'Alessandro, accusati di una rapina in villa comunale ai danni di alcuni coetanei. Per Emanuel Pasquale D'Alessandro (figlio di Luigi, detenuto al 41 bis, assistito dall'avvocato Renato D'Antuono) è arrivata la condanna alla pena sospesa di due anni e quattro mesi, con immediata scarcerazione (era i domiciliari da un anno). Lui era accusato di aver imposto una sorta di pizzo sulla rapina commessa da due minori e da Giuseppe Bellarosa, lui condannato a quattro anni e quattro mesi. Con la minaccia di conseguenze, la gang - è la ricostruzione dell'accusa - isolò un ragazzo e lo costrinse ad andare ad un bancomat per prelevare contanti che gli furono portati via.

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