Soldi, posti di lavoro e voti: ecco la Melito connection

Arrestati il sindaco e il presidente del consiglio comunale

Il sindaco di Melito Luciano Mottola arrestato
Il sindaco di Melito Luciano Mottola arrestato
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 19 Aprile 2023, 00:01 - Ultimo agg. 20 Aprile, 07:21
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Democrazia in vendita alle porte di Napoli, grazie a un patto che ha visto per anni seduti - attorno allo stesso tavolo - politici, imprenditori e camorristi. Accordi che hanno preso forma e assunto efficacia nel corso del voto per il rinnovo della giunta comunale di Melito, grazie a un meccanismo che - almeno da queste parti - sembra riprodurre il proprio schema a distanza di almeno venti anni. Ed è così che nella città che si professa «nemica della camorra e amica delle donne» (come da insegna di benvenuto), i voti sarebbero stati venduti in blocco, con pacchetti di ventimila euro che sarebbero stati girati ai camorristi che controllano il consenso nelle palazzine costruite con i fondi della 219 del post terremoto. Blitz all’alba, in cella il sindaco in carica, il 38enne Luciano Mottola, eletto nel 2021 alla guida di una coalizione di centrodestra, il presidente del Consiglio comunale Rocco Marrone, 38 anni, di “Melito Più” e il consigliere di FdI Antonio Cuozzo, 25 anni; in manette anche l’imprenditore locale Emilio Rostan, classe 1947 (è il padre della ex parlamentare Michela Rostan, estranea alle indagini), che avrebbe fatto da cerniera nei rapporti tra il Municipio e il clan Amato Pagano, da decenni radicato all’ombra dei palazzi della ricostruzione; a finire in manette, anche alcuni esponenti della camorra locale, tra cui Salvatore Chiariello (conosciuto come boxer), assieme a Vincenzo Nappi (noto come il “pittore”), ucciso in un ristorante davanti a decine di clienti, lo scorso 23 gennaio.


Inchiesta condotta dai pm Giuliano Caputo e Lucio Giugliano, sotto il coordinamento del procuratore Rosa Volpe, decisivi gli accertamenti della Dia del capocentro Claudio De Salvo. Blitz all’alba firmato dal gip Isabella Iaselli, al termine delle indagini sul patto politico-imprenditoriale elettorale che rimanda ai giorni del ballottaggio di metà ottobre del 2021: una vicenda che fa registrare una svolta decisiva, grazie al virus spia (tecnicamente un trojan) inoculato nel cellulare di Rostan, imprenditore strappa appalti, capace di triangolare con politici dal volto pulito e boss sanguinari della camorra metropolitana.

Ora la parola passa agli indagati, a partire dal sindaco, determinato a dimostrare la propria estraneità alle accuse. 

 


Ma non c’è solo il voto di Melito al centro dell’inchiesta. Sotto i riflettori anche una presunta tangente di duemila euro che sarebbe stata versata al consigliere di Città metropolitana Massimiliano Grande, sempre dalle mani dell’imprenditore Rostan. Un capitolo a parte, che merita di essere approfondito alla luce di un’intercettazione ambientale, che apre lame di luce sul voto di secondo livello, quello espresso per la definizione dell’assemblea di città metropolitana. Cinquanta anni, capogruppo di “Davvero Ecologia & Diritti”, Grande viene intercettato mentre si esprime a proposito del voto del 13 marzo del 2022, mentre dialoga con l’imprenditore amico: «Mi hanno offerto duemila euro... personalmente, prima di dire di sì, ho detto faccio un passaggio da Emilio...(Rostan, ndr)». E la conversazione continua, con Grande che si organizza in questo modo: «Vieni da me con il blocchetto di firme... mille euro, poi quando andiamo a votare... altri mille; è la somma che mi hanno offerto stamattina»; immediata la replica di Rostan: «Mi metti sullo stesso piano di quelli di Napoli?». Un’inchiesta che nasce dalla denuncia dell’ex sindaco di Melito Antonio Amente, scomparso in ospedale per colpa del Covid. È ottobre del 2020, quando lo storico primo cittadino del comune denuncia di essere stato avvicinato da due soggetti in sella a una moto, che gli hanno intimato di dimettersi, altrimenti «vi facciamo cadere». Una frase che va calata nel contesto metropolitano in cui la camorra è in grado di pretendere lo scioglimento delle assemblee cittadine, imponendo scelte amministrative a intere giunte comunali. Ed è sempre una storia di violenza per motivi elettorali, quella che sta alla base delle minacce a una candidata, costretta a rinunciare alle proprie aspirazioni politiche. Si chiama Antonietta Liuzzi, vive in un contesto di case popolari e svolge l’attività di commerciante. Viene costretta a non fare campana elettorale per sè, ma «a portare Luigi Ruggiero», sulla scorta di accordi con Vincenzo Marrone. Un reato contestato a Luigi Ruggiero, Giuseppe e Francesco Siviero, per conto del detenuto Nappi. Anche in questo caso, decisivo il trojan inoculato sul cellulare di Ruggiero. Chiaro e senza possibilità di repliche il pressing esercitato dal clan, pronto a “sfrattare” la candidata e a colpire il suo negozio. 

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Ma nell’ultimo atto di accusa contro Melito connection, a distanza di quasi venti anni dalle indagini che coinvolsero l’allora sindaco Alfredo Cicala, spunta anche il ruolo dei cosiddetti consiglieri cerniera, che avrebbero garantito i contatti tra il Palazzo e i clan. Soldi ai camorristi, in cambio di voti, ma in cambio di cosa? Posti di lavoro in alcune ditte (ne vengono indicate due, ndr) nel campo dell’igiene urbana, ma anche appalti e ancora appalti per «controllare le opere pubbliche», secondo quanto emerge dalle intercettazioni ricavate sull’utenza dell’immancabile Rostan. Tra i nomi in cella, anche Rosario Ciccarelli, Luciano De Luca, Antonio De Stefano, Francesco Della Gaggia, Vincenzo Marrone, Rosario Martinelli, Edoardo Napoletano, Luigi Tutino; ai domiciliari Marco Ascione. 

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