Ho letto con interesse l'articolo di Adolfo Scotto di Luzio sul Monte di Pietà che si occupa dell'interrogazione proposta da tre senatrici del gruppo misto che prendono spunto, tra le altre fonti, anche da una mia intervista apparsa sulla stampa nazionale nei giorni scorsi. Sebbene la riflessione di Scotto di Luzio sia in più punti condivisibile, vorrei limitarmi a sottolineare che l'interrogazione mi pare efficace, opportuna e politicamente ben impostata: spetta al Ministro prendere l'iniziativa affinché rientri nel patrimonio pubblico un bene caratterizzato da un grande valore culturale, che solo per la sciatteria con cui sono state realizzate le privatizzazioni ne è uscito. Questo per due semplici considerazioni. Innanzitutto, in passato Napoli ha pagato il prezzo della superficialità con cui sono state fatte le privatizzazioni, che hanno conferito nel patrimonio degli enti privatizzati beni che non avrebbero mai dovuto abbandonare il recinto pubblico.
Pochi napoletani sanno che il comune di Napoli, una decina di anni or sono, pagò oltre 6 milioni di euro alle Ferrovie dello Stato per acquistare piazza Garibaldi, maldestramente entrata nel patrimonio della società FF.SS. Con simile superficialità è stato privatizzato l'istituto di credito di diritto pubblico Banco di Napoli.
Anzi, meno di zero. Infatti, a causa dei penetranti vincoli che vi insistono, qualsiasi progetto speculativo si manifesta del tutto aleatorio, dovendo fare i conti con i permessi della soprintendenza, mentre certe sono le spese di manutenzione cui l'improvvido acquirente sarebbe comunque tenuto. È evidente che si tratta di un bene che per sua natura è fuori mercato. Non è un caso che dal 2017 è in vendita e che la sola proposta finora pervenuta, come rivela lo stesso Scotto di Luzio, «è talmente incredibile da apparire provocatoria e offensiva», espressione di «rozzezza culturale» (sono parole di Scotto di Luzio). È allora quanto mai opportuna l'interrogazione che sollecita un deciso intervento del Ministro Franceschini per la soluzione della questione volto a correggere l'errore di un tempo. Non, dunque, per l'esercizio del diritto di prelazione, perché una vendita di quel bene per scopi speculativi non è un rischio concreto, ma per far rientrare il bene nel recinto pubblico, a costo zero, usando tutti poteri che il codice dei beni culturali e l'autorevolezza del suo ruolo di ministro gli offrono.
* Docente di Diritto pubblico