Napoli, griffe in fuga dal Vomero: «È il regno dei fast food»

Napoli, griffe in fuga dal Vomero: «È il regno dei fast food»
di Gennaro Di Biase
Mercoledì 27 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 14:55
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Il Vomero cambia faccia. Il quartiere dell’abbigliamento, delle botteghe di tradizione e qualità si è convertito nel rione delle pokerie (piatto hawaiano), dei fast-food, dei bar e della cucina americana o asiatica. I numeri forniti dal Comitato Valori Collinari e dalla Federazione del Commercio, in questo senso, restituiscono in pieno lo scenario che salta agli occhi quando si passeggia tra via Scarlatti, via Kerbaker, piazza Vanvitelli, via Cilea, via Luca Giordano o via Merliani: sono circa «120» i pubblici esercizi aperti al Vomero in larga parte dall’inizio della pandemia a oggi. Un’ondata di bistrot, pub, pizzerie, friggitorie e simili che, di fatto, hanno soppiantato almeno 30 tra grandi marchi e botteghe storiche di artigianato. 

La conversione del Vomero al bar o al fast-food si spiega anche con la crisi economica delle famiglie (per carovita, guerra e Covid) e col boom turistico: tutti fattori che inibiscono la progettualità e favoriscono il mordi e fuggi. Sono circa «1700», in totale, le attività commerciali vomeresi. Di queste, circa «120» sono pubblici esercizi (cioè fast-food, bar, pub, ristoranti) aperti in maggioranza «negli ultimi 2 anni e mezzo». Dalla fine delle restrizioni pandemiche l’escalation è stata totale: circa «30 nuovi pubblici esercizi» a fronte di «40 chiusure» di attività no-food. Restano al momento circa «90 locali sfitti» secondo la Federazione del Commercio. In proposito, sottolinea il Comitato Valori Collinari, i prezzi degli affitti «sono quadruplicati dal 2019: da 1000 a 4000 euro per uno spazio di 30 mq».

I numeri sono confermati dalla realtà della strada. Piazza Fuga o l’angolo tra Vanvitelli e Scarlatti sono distese di pubblici esercizi, che occupano ex locali di abbigliamento, gioiellerie, antichi fiorai e oggettistica. Al posto delle pokerie di via Kerbaker, per esempio, prima c’erano un negozio di elettrodomestici e un gioielliere. 

Certo, aprono anche i grandi marchi, come Lego in via Scarlatti. Ma tanti hanno lasciato: Fnac, Abet, Coppola, San Giuliano, Guida, Famà, Loffredo, Caniglia, Hadrian, Pio Barone, Serrao, Guida: solo per citarne alcune (senza parlare dei cinema: Colibri, Ariston e Ideal chiusi, restano Kerbaker e America). «Le ditte vecchie e nuove di food hanno una prospettiva vincente al Vomero - argomenta Enzo Perrotta, presidente della Federazione del Commercio - Il no-food è in crisi. Le famiglie hanno cambiato cambiano modalità di consumo: mangiano il panino oggi e rinunciano ad acquisti più impegnativi. Sono circa 120 i nuovi locali di food al Vomero dal 2019. Oggi il 60% delle attività vende food. Nel 2012, la percentuale era di 10% sul food e del 90% per altri prodotti. Dal post-Covid hanno chiuso almeno 40 negozi e sono nati 30 bar». 

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«Il quartiere collinare è un fast-food a cielo aperto - dice Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari - Servono iniziative e provvedimenti per salvaguardare le attività storiche e di tradizione. Si avverte la mancanza di una politica produttiva ed occupazionale. Stanno poi tornando in massa i turisti, ma mancano strutture ricettive adeguate, dopo la chiusura dell’ultimo albergo presente sulla collina, l’hotel Belvedere. In questo modo San Martino, la Certosa, Castel Sant’Elmo, la Floridiana e il museo Duca di Martina non vengono dotate delle necessarie infrastrutture per la ricezione». Per finire, i tavolini selvaggi: perfino qualche tabaccaio, sfruttando le agevolazioni Covid per gli spazi esterni in scadenza il 30 settembre a livello nazionale, è diventato bar. Dei tavolini selvaggi, non a caso, se n’è parlato l’altro ieri al parlamentino di via Morghen. 

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