Napule ca se ne va, Gaetano Pagliarulo e la sedia del barbiere di Croce e De Nicola

Napule ca se ne va, Gaetano Pagliarulo e la sedia del barbiere di Croce e De Nicola
di Francesca Saturnino
Sabato 26 Marzo 2022, 11:00
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Gaetano Pagliarulo ha una parlata antica che ricorda quella di Eduardo. Nella nostra chiacchierata confesserà che sia lui che il padre hanno fatto parte della compagnia filodrammatica Arcadia. Classe 1938, originario di Materdei, è uno dei decani barbieri di Napoli. Oggi assieme al figlio Maurizio prosegue orgogliosamente un'attività che ha quasi 130 anni. Siamo in via Micco Spadaro, di fronte all'ingresso dell'Accademia di Belle Arti. Tutto inizia attorno al 1890.

«Nonno Enrico, nato a via Santa Teresa, lavorava nella fabbrica di orologi Curci a piazza Dante.

Durante la guerra del 15-18 chiusero la fabbrica per adibirla a deposito di munizioni, gli operai finirono per strada». Enrico Pagliarulo si fidanzò con la figlia di un barbiere e imparò il mestiere. Presto aprì un suo negozio, prima a Port'Alba e poi nell'attuale collocazione, la stessa da quattro generazioni. «Mio papà Domenico, primo figlio maschio, continuò nel salone paterno. Dei suoi quattro fratelli, tre erano barbieri e uno parrucchiere».

La clientela dei Pagliarulo annoverava quella che si soleva chiamare una Napoli nobilissima. Primari e luminari del vicino Policlinico, giuristi, avvocati, professori dell'Accademia, attori del teatro Bellini. Tutti andavano a farsi belli da Pagliarulo. Il salone era luogo ambito: la rasatura era una scusa per chiedere consulenze e favori agli influenti habituè. Al signor Domenico spesso toccava il ruolo di «maestro di cerimonie»: «Ai tempi di mio nonno e mio padre, qui venivano Benedetto Croce, Enrico Pessina, De Nicola, Cardarelli, Leonardo Bianchi, Cesare Colucci; il futurista Emilio Notte, il pittore Armando De Stefano, Giovanni Brancaccio che aveva disegnato le scenografie per Eduardo, più di recente Tony Stefanucci che è ancora un affezionato cliente».

Gaetano racconta che fu il giurista Amerigo Crispo a far sapere a suo padre che uno dei suoi clienti era Alfredo De Marsico, ministro della Giustizia del governo Mussolini. «Pagava sempre con monete d'argento ma siccome era un po' trasandato mio padre non l'aveva riconosciuto». A De Marsico, come a tanti altri, i Pagliarulo salvarono la vita: «Nello scantinato del salone c'era una botola. Mio padre chiese a un suo cliente, l'ingegnere civile Camillo Tizzano, di controllare cosa ci fosse sotto. Il giorno dopo Tizzano si presentò con gli operai. Ruppero il muro e iniziarono a scendere. Cento scalini, poi altri cento». Si scoprì che da quella botola si aveva accesso alle «fosse del grano» di origine borbonica e a parte dell'acquedotto greco-romano del Carmignano sotto l'area tra piazza Dante e la galleria Principe. Installarono illuminazione, sedili e servizi igienici: «Con l'inizio dei bombardamenti papà decise di trasferirci in negozio. La sera facevamo i letti e la mattina mettevamo i materassi a posto. Quando suonava la sirena scendevamo tutti giù, clienti inclusi».

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Grazie al ricovero la famiglia Pagliarulo e tanti altri napoletani scamparono al drammatico bombardamento americano del 4 dicembre 1942 che fece oltre novecento vittime. «Durante la guerra, l'Accademia divenne un ospedale degli alleati, c'era una folla di militari che aspettavano il turno per farsi la barba».

Gaetano ricorda che anticamente i barbieri svolgevano anche altre funzioni «mediche». Tiravano i denti e applicavano le mignatte, le sanguisughe. Da qui il «palo» del barbiere (cui i «pazienti» si attaccavano durante le estrazioni o i salassi) con i suoi colori «storici»: benda bianca, rosso sangue, blu di un'arteria. «La sfera in alto dopo i salassi veniva riempita di sangue e esposta a mo' di réclame».

Al n. 10 di via Micco Spadaro il palo c'è ancora, ma è nuovo di zecca: «Ci deve stare, è per devozione». 

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