Antonio Giordano direttore generale Policlinico Vanvitelli: «Lascio dopo 16 anni, sono vivo grazie ad Ascierto»

Antonio Giordano direttore generale Policlinico Vanvitelli: «Lascio dopo 16 anni, sono vivo grazie ad Ascierto»
di Ettore Mautone
Martedì 14 Giugno 2022, 11:00 - Ultimo agg. 15:52
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Manager sanitari, in vista delle nomine, si registra circa il 10 per cento di defezioni ai colloqui tenuti nei giorni scorsi dalla Commissione di valutazione dei 108 candidati. Tra queste spicca il nome di Antonio Giordano, attuale direttore generale dell'azienda ospedaliera universitaria Vanvitelli. Un manager di lungo corso, il più longevo tra quelli in carica. Nato a Salerno 67 anni fa, residente a Eboli, medico, dopo 16 anni vissuti a cavallo di tre consiliature lascia dunque una casella libera per le scelte con cui, a fine giugno, il governatore Vincenzo De Luca rinnoverà 13 incarichi su 17. 

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Dottor Giordano ci racconta questi 16 anni?
«Il mio primo incarico, al Cotugno, risale al 2006 (Bassolino governatore, assessore alla Sanità Angelo Montemarano ndr).

Poi all'azienda unica dei Colli, Asl di Salerno, di nuovo i Colli e infine la Vanvitelli».

Come mai non ha partecipato al colloquio dei giorni scorsi?
«Dopo 16 anni di lavoro intenso e impegnativo, pieno di responsabilità, è diventato faticoso anche il viaggio giornaliero da Eboli. Ci vuole un tempo per tutto. Ho due splendidi nipotini e una famiglia a cui voglio dedicare più tempo».

Lei è un medico, che lavoro faceva prima di guidare le aziende? Qual è stata la cosa più complicata da affrontare?
«Soprattutto fare lo stesso lavoro in realtà diverse. Ospedali, Asl e aziende ospedaliero-universitarie non sono uguali. In un ospedale lo sforzo è mettere i professionisti nelle migliori condizioni organizzative. In una Asl ci sono in primo piano i bisogni dei cittadini. La guida dell'ospedale nelle Università deve tenere conto dei rapporti tra assistenza e didattica e l'assistenza è uno strumento della formazione. L'errore è considerare le Università un ospedale dove lavorano gli universitari».

Il pronto soccorso nei policlinici si farà?
«L'Università ha fatto tutto quanto le compete ma per raggiungere il traguardo deve cambiare la programmazione regionale. I tempi sono lunghi perché richiedono un'autorizzazione e un aggiornamento del Piano ospedaliero».

È tutto nelle mani della politica?
«Buona parte di quello che manca per il pronto soccorso nei policlinici è compito della programmazione».

Nel 2020 si è ammalato di Covid: come si sta dall'altra parte?
«Ho stampati nella mente quei momenti drammatici, sia da direttore sia da paziente. Ricordo il viaggio in ambulanza da Eboli al Cotugno: un'ora seduto in ambulanza febbricitante con due infermieri accanto bardati e un'autostrada deserta. Non sapevo l'esito di quel viaggio».

E in ospedale?
«Al Cotugno ero a casa mia, conoscevo tutti ma cure per il Covid non ce n'erano. Quando sentii i primi aghi nelle braccia capii di dover essere forte e paziente».

E poi come andò?
«Dopo poche ore la situazione andava rapidamente peggiorando ma mi somministrarono il Tocilizumab, la cura Ascierto. Il decorso cambiò quasi subito e la sera ero già senza febbre e i valori rientrarono. Se non fu un miracolo quel farmaco in quel momento mi ha salvato».

Un elemento che funziona della sanità campana e uno che non va?
«Sulla parte da cambiare lascio che siano altri a indicarla, sarebbe parlare male di me stesso. Per l'altro verso il sistema salute in Campania ha tenuto bene l'onda d'urto del commissariamento e dei tagli, quando il blocco del turn-over aveva disarticolato quasi tutti i servizi. È stato durissimo evitare il tracollo. Ci hanno salvati il lavoro somministrato e gli specialisti ambulatoriali. Poi c'è stato il Covid che ha rallentato tutto ma durante la pandemia la Campania ha mostrato risorse e capacità insospettate e abbiamo reagito meglio di altre compagini considerate virtuose». 

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