Arco Borbonico di Napoli, il giudice nega l'archiviazione: «Appalti nel mirino, riaprire l'indagine»

Comune, sovrintendenza e Autorità Portuale sotto accusa

L'Arco Borbonico di Napoli a pezzi dopo la mareggiata sul lungomare
L'Arco Borbonico di Napoli a pezzi dopo la mareggiata sul lungomare
di Gennaro Di Biase
Lunedì 7 Novembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 14:54
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La storia non può sbriciolarsi in silenzio: per il crollo dell’Arco Borbonico di via Partenope vanno riaperte le indagini. A stabilirlo è stato il gip Gabriella Logozzo, che il 3 novembre ha rigettato la richiesta di archiviazione presentata il 20 giugno dal pm. La prosecuzione della vicenda giudiziaria potrebbe aprire nuove prospettive su altre location storiche a rischio crollo in città. Purtroppo non poche. Tornando però all’Arco Borbonico, franato in mare durante le mareggiate di fine 2020 inizio 2021, va ricordato che, il 13 luglio, l’Ufficio del Garante dei Beni Culturali presentò un ricorso contro l’archiviazione degli accertamenti. L’ordinanza emessa quattro giorni fa dispone invece «la restituzione degli atti al pubblico ministero perché provveda nel termine di tre mesi a svolgere le indagini indicate nella motivazione, nonché, eventualmente, le altre che riterrà opportune». In altre parole, va verificato se siano state solo le bufere a cancellare l’arco – su cui peraltro erano iniziati i lavori – o se ci siano effettivamente responsabilità delle parti in causa. Ogni cosa, ovviamente, resta da appurare. 

Nel corso dell’udienza cautelare del 31 ottobre, il gip ha dunque disposto indagini integrative da svolgere entro un termine di tre mesi. Questo uno dei passaggi fondamentali dell’ordinanza: «Rilevato che si rende necessario - si legge - acquisire tutta la documentazione inerente al procedimento di affidamento dei lavori, al fine di accertare i tempi e lo stato degli stessi al momento del crollo ed eventuali profili di responsabilità da parte dei soggetti coinvolti, nelle loro rispettive qualità». Comune, sovrintendenza e Autorità Portuale: sono questi gli enti coinvolti nel carteggio precedente al crollo, in cui si trova tra l’altro un documento (a firma dell’ex sovrintendente Luigi La Rocca), in cui si avvisa che per «l’eccezionale valore storico-artistico» dell’Arco, «si impone a codesta Autorità Portuale – presieduta ancora da Spirito ndr – in qualità di ente concessionario, l’obbligo di eseguire i necessari interventi di messa in sicurezza e restauro, assegnando a codesta Autorità Portuale un termine di 30 giorni per la presentazione di un progetto esecutivo». «L’esposto presentato dall’avvocato Luca Capriello - ricorda l’ingegnere Luigi Grosso, uno dei ricorrenti - fondava la pretesa di un necessario approfondimento investigativo proprio sul fatto (dimostrato anche da numerose fotografie) che le opere di puntellatura non erano state eseguite in base alle caratteristiche del manufatto, e in funzione dello scopo di assicurare la messa in sicurezza dello stesso, delle norme tecniche di costruzione regolamentare, del criterio di efficacia dell’appalto, della piena salvaguardia di un bene tutelato.

Non è un caso che appena il giorno prima della rovina del manufatto, gli elementi di ripartizione dei carichi non erano più saldamente aderenti alla struttura metallica necessaria per la messa in sicurezza, rendendo praticamente inutile la “puntellatura” eseguita e quindi la messa in sicurezza, determinando, per questa ragione, la rovina del manufatto. Considerando la particolare localizzazione del manufatto, bisognava garantire che le opere di puntellatura appaltate reggessero a eventi metereologici anche di particolare intensità». 

 

Villa Ebe, la stazione Bayard, la Scorziata, le Torri Aragonesi, più decine di chiese, arciconfraternite, palazzi storici e altri pezzi di cultura in disuso. La storia abbandonata si spreca, purtroppo, in centro storico e - in generale - all’ombra del Vesuvio. E proprio su questo mette l’accento Antonio Pariante, portavoce dell’Ufficio del Garante dei Beni Culturali, che cita alcuni esempi concreti di crolli possibili: «Con questo provvedimento - sottolinea - Le istituzioni che ne sono responsabili dovranno fare più attenzione alla salvaguardia dei luoghi storici: monitoreremo con attenzione altre situazioni che riteniamo essere a rischio, come Villa Ebe, la Stazione Bayard, la Scorziata, le Torri Aragonesi e la metà delle 500 chiese malmesse in città. Il buon esito del nostro ricorso rappresenta uno sprone a tutelare il patrimonio storico-artistico partenopeo. Le responsabilità vanno perseguite, anche se fanno capo alle stesse istituzioni che dovrebbero prendersi cura dei beni storici. Se si vuole una vera tutela del patrimonio, va stabilita una necessaria concertazione tra gli enti. Ci auguriamo inoltre che riprendano i lavori sull’Arco Borbonico che erano iniziati in estate, ma che proseguono a rilento». «L’Arco sembrava un elefante in bilico, di quelli dei circhi di una volta e nonostante i tanti fondi, i lavori promessi una mareggiata lo portò via - commenta Marì Muscarà, anche lei componente dell’Ufficio del Garante dei Beni Culturali - Non ci rassegnammo allora e continueremo la nostra battaglia legale per fare chiarezza. Napoli ha resistito a terremoti, pestilenze e guerre, ma la mancanza di cura sta facendo più danni di tante sventure».

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