Ergastolo al killer di Attilio Romanò, l'appello della sorella: «Camorristi, per voi non c'è futuro»

Ergastolo al killer di Attilio Romanò, l'appello della sorella: «Camorristi, per voi non c'è futuro»
di Daniela De Crescenzo
Martedì 12 Novembre 2019, 11:03 - Ultimo agg. 12:22
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«Questa sentenza non ci restituisce Attilio, ma ci dimostra che la giustizia c’è. Ed è utile anche per i giovani che devono capire a cosa portano le scelte sbagliate»: Maria Romanò è la sorella di Attilio e dal 24 gennaio del 2005 non ha mai perso la speranza di vedere in carcere non solo chi ha sparato quella sera maledetta, ma anche chi armò i killer.

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Ieri era in aula?
«Certo, come sempre per tutti questi anni. Ma io e la mia famiglia, mia madre innanzitutto, non eravamo soli. Con noi c’erano tanti altri familiari di vittime innocenti, Alessandra Clemente, Bruno Vallefuoco, i rappresentanti di Libera e della fondazione Polis che non ci hanno mai lasciati soli e hanno vissuto con noi anche l’attesa per la sentenza».

Avete mai perso la speranza di avere completamente giustizia?
«Il killer di mio fratello è già stato condannato in via definitiva. Con la latitanza di Marco Di Lauro il processo per fermare anche i mandanti si era un po’ rallentato. Poi con l’arresto del pregiudicato si è riaperto l’iter giudiziario e la sentenza è arrivata in tempi anche abbastanza brevi. Noi abbiamo sempre aspettato serenamente».

Siete sempre stati convinti del coinvolgimento del clan Di Lauro?
«Una volta accertato che il delitto era maturato nel contesto della criminalità organizzata era difficile pensare che qualcuno potesse agire autonomamente. Adesso ci resta da leggere la sentenza. Ma c’è una cosa che mi colpisce: Il killer e Marco Di Lauro erano entrambi giovanissimi, addirittura più di giovani di Attilio che si stava affacciando alla vita. È causa di una profonda tristezza pensare che queste persone non riescano ad uscire dal buio ritenendo che questa sia l’unica strada da seguire».

Come era Attilio?
«Socievole, allegro, pieno di vita. Suonava la chitarra, scriveva poesie, amava il teatro, voleva un figlio, ma i sogni gli sono stati rubati. Quando lo hanno ucciso si era sposato da quattro mesi ed era nel pieno della realizzazione delle sue speranze. Ora tanti giovani lo incontrano nel corso delle iniziative per la legalità e io mi auguro tanto che se qualcuno è tentato da strade sbagliate possa cambiare idea grazie a lui».

Nel nome di suo fratello ci sono state tante iniziative. Quali?
«Una scuola che si trova di fronte a dove ha perso la vita è stata intitolata a lui, sono state pubblicate le sue poesie grazie a Polis, c’è un premio di poesia a lui intitolato».

Cosa è cambiato nella vostra vita?
«Tutto. uscire da questa tempesta è impossibile. Noi non siamo più gli stessi la nostra vita ha preso una strada diversa che ci ha portato all’impegno perché non succeda più quello che è successo a noi. Ma dal punto di vista più intimo si resta segnati: mia madre non può percorrere la strada dove è successa la tragedia, non va a teatro perché ci andava con mio fratello, non può vedere le sue foto. Ma il rapporto con gli altri familiari di vittime innocenti ci dà un po’ di conforto»

Cosa direbbe a Marco Di Lauro?
«Io credo che anche la sua sia una non vita e quindi mi verrebbe da dire di cercare dentro di sé quel qualcosa che lo possa  far essere una persona vera».
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