Beni confiscati a Napoli, la metà resta inutilizzata: «Servono nuovi manager»

Beni confiscati a Napoli, la metà resta inutilizzata: «Servono nuovi manager»
di Adolfo Pappalardo
Giovedì 31 Marzo 2022, 11:00 - Ultimo agg. 1 Aprile, 11:11
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Più di un bene su due non è assegnato. E solo un'azienda su tre viene gestita da nuovi soggetti altrimenti è destinata ad andare in malora. Sono i beni confiscati alla criminalità che dovrebbero avere nuova vita dopo l'assegnazione, ma non sempre tutto l'iter va a buon fine. Tra lungaggini burocratiche, cooperative in attesa di contributi e, soprattutto, le amministrazioni comunali che si ritrovano in primis i beni assegnatigli dall'Agenzia nazionale e non sanno gestire l'iter. Ma nella maggior parte dei casi, di molti di questi immobili non si trova collocazione nonostante passino anni. È il caso del Castelsandra, mega complesso alberghiero nel Cilento, confiscato nel 1993 che giace nel più completo abbandono. «Io stesso - spiega Mario Morcone, assessore regionale alla Legalità ed ex prefetto nazionale dei beni confiscati -, ho sollecitato l'amministrazione comunale. Mi sono anche offerto di trovare i soldi per la demolizione. Ma nulla. Sia l'attuale che la precedente amministrazione rimangono dubbiosi se abbattere o riqualificare». Ed ecco il caso più eclatante dei beni confiscati che finiscono in malora. Un problema enorme in Campania che è, dopo la Sicilia, la regione in Italia con il maggior numero di questi immobili. Un tesoro, ha quantificato recentemente Mario Mustilli, che ammonta a livello nazionale a circa 40-50 miliardi di euro. 

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In Campania, sono 7.692 i beni confiscati e Napoli e provincia con il 56 per cento del totale fanno la parte del leone.

Per la maggior parte sono immobili, di cui però meno della metà ha trovato una collocazione se il 48 per cento di loro rimane in mano all'Agenzia dei beni confiscati. Assieme al 13 per cento di aziende. E qui si rileva la prima criticità: il 70 per cento di quest'ultime non trovano una nuova gestione. Praticamente solo una su tre è destinata a garantire la continuità economica per i propri dipendenti. Tanto che gli esperti stanno iniziando ad interrogarsi come non tutte le aziende confiscate potrebbero essere salvate, ed anzi «la parte più consistente sarebbe comunque destinata al fallimento perché impossibilitata a resistere sul mercato». «La gestione delle aziende è un tema complicato - spiega ancora Morcone - perché i tempi per la confisca sono lunghi ed appena scatta, le banche chiedono il rientro dei fidi rendendo complicato per le società stesse lavorare. Spesso arrivano a noi già fallite o assai vicine». E per farla andare avanti servono due cose: «Anzitutto bisogna agire subito per evitare che la sorte sia segnata e servono persone preparate per la gestione. Non a caso dall'anno scorso vengono organizzati alcuni corsi con la Federico II per formare avvocati e commercialisti». Figure cioè che possano rimettere sulla strada giusta aziende che, criminalità a parte, sono considerate sane. Non solo finanziarie ma anche perché hanno potenziali mercati. Tutti temi al centro del primo forum nazionale dei Beni confiscati alla Stazione Marittima, domani e dopodomani, organizzato proprio dall'assessorato regionale alla Legalità. Evento a 40 anni dal varo della legge Rognoni-La Torre e dove la Regione lancerà un nuovo piano triennale per finanziare la gestione di questi beni a valere sui fondi Ue. Ma è anche una due giorni per sollecitare, in primis le amministrazioni comunali a fare rete con le associazioni e puntare a progetti di riutilizzo di questi beni. «Su questo tema - conclude Morcone - sembra sia calato il silenziatore quando invece occorre attenzione: c'è una sorta di normalizzazione che va assolutamente contrastata perché la confisca dei patrimoni e il loro riutilizzo rimangono strumenti potentissimi contro la criminalità. E se è il caso bisogna avere coraggio e prendere decisioni forti». Quali? «Anche vendere o demolire. L'importante è aver confiscato». 

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