Camorra, Ottaviano cerca il riscatto: «Basta, Cutolo è il passato»

Camorra, Ottaviano cerca il riscatto: «Basta, Cutolo è il passato»
Lunedì 28 Marzo 2022, 10:31
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«Dici Ottaviano e tutti pensano a Raffaele Cutolo: dottò, la nostra condanna sta tutta qua». Alza le braccia Michele, barista di un caffè nei pressi della caserma dei carabinieri. «Passano gli anni continua Michele - ma ovunque vado, se dico che abito ad Ottaviano, tutti mi rispondono citando il boss della Nuova camorra organizzata». Eppure oggi la camorra, nonostante qui abbiano prosperato due capi storici della mala campana Don Raffaè e Mario Fabbrocino (il boss dei due mondi) - non è più potente come lo era un tempo: tutto si riduce allo smercio di droga come in tante altre realtà. L'economia legale, come in tanti altri Comuni campani, segue la stessa parabola dell'economia illegale. Qui ad Ottaviano, un tempo, c'erano grandi marchi del settore tessile, ma da circa 40 anni è iniziato il declino. «Quando ad Ottaviano c'erano le grandi industrie racconta un ex maresciallo dei carabinieri del posto, che però preferisce non comparire con il proprio nome allora i clan potevano andare a chiedere il pizzo. Oggi a chi possono chiederlo? Qui c'è rimasto pochissimo della grande storia industriale di questa terra che creava il made in Italy».

Ad Ottaviano le grandi aziende rimaste si possono contare sulle dita di una mano. Ovunque, però, sono sorte piccole fabbriche artigianali ricavate in seminterrati e cantine. Al loro interno lavorano intere famiglie provenienti dalla Cina e, in tutta l'area Vesuviana, lo stesso avviene con i tanti lavoratori bengalesi. Di tanto in tanto, come avvenuto solo pochi giorni fa, arrivano le forze dell'ordine e sequestrano i laboratori tessili abusivi che, il più delle volte, contribuiscono alla piaga che rende tristemente nota la Campania come Terra dei fuochi. Tante le aziende - prevalentemente gestite da stranieri che vengono sequestrate perché smaltiscono illegalmente i rifiuti speciali, lo scarto della lavorazione dei tessuti altamente inquinanti. Si tratta di aziende fantasma, che nascono in immobili destinati ad uso abitativo ed essendo privi delle necessarie autorizzazioni amministrative non possono quindi neppure smaltire i rifiuti secondo le regole. Tutti gli scarti di lavorazione finiscono nei terreni circostanti del Vesuviano, spesso quelli che dovrebbero essere a vocazione agricola.

Qualcuno, in strada, non nasconde l'insofferenza per la presenza straniera: «Quando c'era Cutolo dice un signore sulla sessantina seduto al tavolino di un bar questa invasione non sarebbe mai successa».

C'è però chi si ribella a questa lettura che vuole i cittadini di Ottaviano nostalgici di Don Raffaè. «Troppo facile racconta uno dei docenti dell'istituto alberghiero Luigi de Medici, Antonio Nunziata condannare chi ad Ottaviano rimpiange Cutolo, magari parole dette senza neppure riflettere. La vera sfida dello Stato dovrebbe essere offrire alternative reali, opportunità, decoro. Quelle voci che si ascoltano di rimpianto per Cutolo non vanno lette solo come manifestazione di ignoranza, ma anche come grida di dolore per uno Stato che purtroppo qui è assente». Eppure Nunziata, che da decenni insegna nell'istituto di Ottaviano non crede che il tempo si sia fermato, ma ritiene che pian piano le cose comincino a cambiare. «In questi anni - spiega il docente dell'alberghiero - ho avuto come alunni prima i figli dei contadini, poi dei commercianti e ora a scuola arrivano anche figli di professionisti. I cambiamenti sono lenti, ma arrivano. Oggi i ragazzi hanno bisogno solo di chi gli dia formazione e qualche possibilità e, per fortuna, pian piano le soddisfazioni arrivano: da noi si sono diplomati diversi chef che nel corso della carriera hanno ottenuto tre stelle Michelin e che ora lavorano non solo in Campania ma in giro per il mondo da Dubai a Singapore».

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Cambia anche ciò che prima era il simbolo del male e, tra i segni che rappresentarono il potere di Raffaele Cutolo nella Campania degli anni Ottanta, il più incredibile fu probabilmente il suo castello. Un imponente palazzo nobiliare, il Castello Mediceo di Ottaviano, acquistato nel 1979 per la cifra di 270 milioni di lire. Fu confiscato nel 1991 diventando, successivamente, di proprietà del Comune. Nella sua lunghissima storia il palazzo è appartenuto, tra gli altri, alla famiglia de' Medici (di qui il nome di Castello Mediceo) e anche al celebre condottiero del Quattrocento Fabrizio Maramaldo. Nel 1085 ospitò papa Gregorio VII in fuga.

Oggi invece, dalla manie di grandeur di Cutolo, quel palazzo è sede del Parco nazionale del Vesuvio che ha un protocollo d'intesa con il Comune che ne ha la proprietà e gestisce il bel piano nobile con le sue stanze affrescate. Prima della pandemia il castello ospitava i mercatini di Natale della pro loco molto visitati, oggi ospita convegni e visite guidate. «È il palazzo degli ottavianesi racconta il sindaco Luca Capasso e dei vesuviani. È uno scrigno di storia e cultura che va valorizzato, ora stiamo ristrutturando la parte del cortile interno e abbiamo chiesto 6 milioni con i fondi del Pnrr per un anfiteatro a ridosso del Palazzo e un museo virtuale nelle sue stanze. Chi lo associa ancora alla camorra fa un'operazione anacronistica». La nomea - difficilissima da scrollarsi di dosso - legata all'epopea di Cutolo la si prova a vincere con l'orgoglio e la voglia di fare. Serve però da costruire un tessuto economico intorno che negli ultimi 40 anni è stato quasi completamente svilito.
 

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