Sepe, i 14 anni a Napoli del cardinale-manager da Scampia al Giubileo

Sepe, i 14 anni a Napoli del cardinale-manager da Scampia al Giubileo
di Angelo Scelzo
Domenica 13 Dicembre 2020, 10:18
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A Napoli il detto è molto popolare: un cardinale è fuori della partita, ma proprio a Napoli, la smentita sembra a portata di mano, e si chiama Sepe, nome di battesimo Crescenzio, come molti dalle parti di Carinaro, a due passi da Aversa, anche se poi, per tacito accordo, per tutti viene usato il diminutivo un po' forzato di Enzo. Il potente cardinale è un suffisso che, di questi tempi, è in uso sempre meno, e per un sempre minor numero di porporati: quasi un piccolo club, le cui modalità di accesso sono stabilite secondo il momento e lo stato di grazia (non sempre divina) dell'interessato. Sepe, fin dal primo momento, ha avuto in grazia una sorta di appartenenza di diritto a questo status, e, anzi, ha finito per bruciare le tappe, visto che da Prefetto di Propaganda Fide, gli è toccato addirittura il titolo di papa rosso. Quello di bruciare le tappe è stato un vizio al quale Sepe non si è mai sottratto. Troppi sono gli indizi e, forse, ancora di più le prove. In quale altro modo spiegarsi, infatti, quei momenti di esitazione del seminarista di Carinaro di fronte alla prospettiva di ritornare dalle sue parti, ma prendendo la strada della grande metropoli per andare a occupare la cattedra di Sant'Aspreno, primo vescovo di Napoli? A prospettargli l'evento, in un colloquio richiamato a più riprese, fu il Papa in persona, Benedetto XVI, alle prese con una delle sue prime nomine importanti, in curia e fuori. Il seminarista era diventato Prefetto - e di un dicastero di prima classe, come Propaganda Fide - e prima di arrivare in piazza di Spagna aveva girato il mondo, come solitamente avviene per chi si arruola nella diplomazia vaticana. E se dopo Brasilia - al seguito del cardinale Mozzoni - s'era fermata la giostra delle sedi, fu solo perché in segreteria di Stato fecero in modo che quel monsignore napoletano una volta passato di lì, non s'allontanasse più, perché nessuno come lui lasciava, ogni sera, senza stare a guardare l'orologio, la scrivania sgombra di pratiche.

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STAKANOVISTA
Un napoletano stakanovista si tiene stretto, non si lascia scappare, tanto più se dotato di altre attitudini del posto: l'occhio sveglio, la conoscenza degli uomini, la padronanza dei meccanismi - una funzione essenziale per governare la curia; perfino le fattezze, già rotonde come si conviene a un monsignore di peso. La scuola di Benelli, il mitico Sostituto ai tempi di Paolo VI, frequentata con grande profitto, completò il profilo di un curiale di stampo certamente originale e che - non v'era dubbio - cresceva a vista d'occhio nella considerazione generale. In poche parole, cominciava a essere temuto, anche perché l'ufficio che gli era stato assegnato (il Servizio Informazione e Documentazione della Segreteria di Stato) di lì a poco, sarebbe diventato strategico. Sarebbero, infatti, cominciati i 27 anni di pontificato di Papa Giovanni Paolo II, il papa venuto da lontano, ma forse non tanto da non accorgersi subito di quel monsignore napoletano che, elevato al grado di assessore, lo avrebbe portato fin dentro casa propria a Carinaro, durante i 5 giorni di visita alle diocesi della Campania. Fu forse quello un punto di svolta. Ma una svolta sempre più annunciata, perché, chiusa la parentesi di assessore, Sepe trovò subito lo zucchetto vescovile e divenne il potente segretario della Congregazione del clero. Un posto e un ruolo di primo piano. Senonché era alle porte, e anzi già avviato, il Grande Giubileo dell'Anno Duemila; e a chi, se non al monsignore napoletano affidare la gestione operativa di un evento che, con la solennità ma anche con l'imponenza del caso, segnasse, nel compleanno della nascita di Cristo, il passaggio tra un millennio e l'altro dell'umanità? Vescovo-manager è stata un'etichetta che Sepe si è trovata cucita addosso insieme con gli abiti prelatizi. Se l'è tenuta e un po' l'ha sopportata, ma senza dubbio ha cominciato a mostrare dapprima a se stesso che, dopotutto, non si trattava di un insulto.

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GIUBILEO
Il Giubileo come una Grande Opera, sia pure santa, sia pure benedetta. E il monsignore napoletano, il vulcanico Sepe, a vestire i panni del regista. Tutta farina del suo sacco l'impeccabile organizzazione di raduni oceanici, il perfetto svolgimento degli eventi; e neppure passò inosservato quell'anno Duemila così avaro di grandi fatti, da far sembrare che tutto dovesse convergere solo ed esclusivamente intorno ai fasti dell'Anno Santo. Forse una piccola forma di miracolo anche questa, se si pensa all'11 settembre dell'anno dopo. Il vescovo-manager, come figura in sé, ha poi avuto poco da spartire con l'essenza reale del Giubileo, il grande evento del pontificato di San Giovanni Paolo II. Così quella del vescovo-manager è stata un'etichetta che si è, infine, scollata. C'era appiccicato il nome di Sepe, ma appiccicato e basta. La sostanza era tutt'altra, e per Sepe veniva da lontano. Chi era in qualche modo a bordo poteva vedere come la macchina giubilare, pur avendo le marce alte, faceva prendere a chi era alla guida, direzioni impensate: le più frequenti portavano appena fuori Roma, a Castel Giuliano, un borgo tra l'Aurelia e la Cassia, dove il potente segretario generale dell'Anno Santo andava, più spesso che poteva e, quando arrivava, vedeva spalancarsi davanti le porte di tutte le case: quel Crescenzio diventava Enzo e il suffisso del don accentuava il sapore di un curato ancor giovane ma di vecchia maniera.


NAPOLI
Non a caso a Scampia, tappa d'ingresso del nuovo arcivescovo di Napoli, nel luglio di 14 anni fa, la delegazione di Castel Giuliano, in prima fila, era la più numerosa di tutte.
Scampia, Napoli: ecco il presente, l'ultima grande tappa, esilio o scelta, a seconda dei diversi orizzonti e dei diversi racconti che se ne fanno. Se il Giubileo era una sfida, Napoli, per la Chiesa, ha sempre rappresentato una sorta di eterna e insolubile contraddizione. Nessuna diocesi al mondo ha in cantiere, alla competente congregazione, tante cause di santi quanto ne ha Napoli, regno mai tramontato della camorra. Napoli è stata subito per il nuovo Pastore come l'altare di una celebrazione sempre in corso, non già una pratica da sbrigare, ma un territorio da esplorare palmo a palmo, ripartendo dal Vangelo e dalle sue più immediate conseguenze come la tensione al bene comune e il valore della legalità. Quando, proprio da Scampia, anche Francesco ha iniziato da Scampia la sua visita a Napoli, il papa argentino ha potuto così toccare con mano che la chiesa in uscita non era solo una formula ma la vicenda davvero nuova di un episcopato al passo dei tempi. Anche quel contorcimento verbale sulla corruzione che spuzza finiva per richiamare il più che disinvolto ricorso al napoletano puro del cardinale che talvolta non lo fa mancare neppure dall'altare. Quella con Francesco è, con tutta evidenza, una sintonia che viene da lontano. Ancora una volta c'è di mezzo un Giubileo, anzi due: quello straordinario sulla Misericordia, indetto dal Papa nel 2015, e l'altro, a dimensione locale, per la città e la diocesi di Napoli che Sepe aveva proclamato 4 anni prima per ricordare l'Anno Santo del Duemila. È un fatto che a Napoli, quel cammino giubilare non si è fermato e, anzi, ha finito per invadere e dilagare tra le vie, i quartieri e i vicoli della città, lasciando dovunque tracce del suo passaggio. Mettendo piede a Napoli, come primo atto, Sepe chiamò a sé i suoi preti e ha continuato, in ogni momento, a essere vicino a ognuno di essi. Perfino in vacanza la chiesa di Napoli arriva a far squadra in senso letterale, dal momento che il cardinale porta con sé, in Trentino, un bel gruppo di preti. Come nel romitaggio di una squadra di calcio, ci si prepara, tutti insieme, alla stagione successiva. Accanto al breviario non manca lo spartito - parole e musica - delle canzoni napoletane, e naturalmente, una chitarra.
Il torneo che aspetta tutti, vescovo e preti, è ostico e difficile.
Lo è diventato ancor più in questo tempo della pandemia. Senza contare altre pene e amarezze per il solo fatto di aver dovuto affrontare un tema viscido e spinoso come le accuse per i preti pedofili. Fino all'ultimo giorno, prima di ritirarsi a Capodimonte («da una finestra si vede il mare e voglio morire con il mare negli occhi»), il cardinale non se ne è stato con le mani in mano e il cuore in pace. Più che mai è stato lo stakanovista della carità per Napoli. «A Madonna v'accumpagna» continua a essere il suo saluto. E più di tutto, ora, la sua speranza.
 

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