Città della Scienza, nuova pista sul rogo: si riapre il processo grazie alle parole di una donna

Città della Scienza, nuova pista sul rogo: si riapre il processo grazie alle parole di una donna
di Leandro Del Gaudio
Sabato 26 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 17:53
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Il verbale dell’ultimo giro, quello che porta l’orario delle 22 era falso: nel senso che era stato fatto con largo anticipo, a tavolino, come se tutto dovesse filare liscio. Una irregolarità, tra le tante in un andazzo completamente fuori controllo. Ma la storia dell’ultimo verbale posticcio è solo una delle tante anomalie (probabilmente la meno incisiva) riscontrata fino a questo momento nel corso di un’inchiesta ancora al vaglio dei giudici. Città della scienza, otto anni dopo, riecco gli atti in Appello a Napoli. Deve essere sostenuto un nuovo processo dinanzi alla Corte di Appello partenopea, come disposto alcuni mesi fa dalla Corte di Cassazione che, in una quindicina di pagine indica la strada, detta la linea e fissa alcuni aspetti: l’assoluzione del vigilante Cammarota in appello è illogica, carente sul piano motivazionale, vanno battuti e affrontati in aula alcuni aspetti che non sono stati tenuti in considerazione da parte dei giudici napoletani di secondo grado.

A partire da un’intercettazione che, per i giudici della Corte di Cassazione, potrebbe svolgere un ruolo decisivo per riaprire il caso a carico del vigilante e - cosa non secondaria - contro gli «ignoti» che avrebbero contribuito alla distruzione del museo cittadino. 

Una intercettazione tra Paolo Cammarota e una sua conoscente, nella quale i due commentano l’incendio, ma anche le possibili conseguenze per l’ex vigilante.

Dice la donna: «Se ti licenziano, poi lo paghiamo qualcuno, ma stavolta lui e lei devono andare un mese in ospedale. Visto che con l’incendio non abbiamo fatto niente, perché non la possono passare così liscia, ma manco “omissis”, non me ne fotte...». Frasi che vengono prese in modo neutro - come una possibile confessione stragiudiziale o come una rivendicazione campata in aria -, che comunque meriterebbero una verifica agli occhi dei giudici della Cassazione.

Ed è così che il vigilante dell’ultima notte condannato a sei anni in primo grado per incendio doloso, assolto in appello, torna ad essere sotto processo a Napoli, dopo la svolta in Cassazione, che ha accolto il ricorso del pg. Imputato assieme ad ignoti «per aver cooperato o non impedito l’incendio che ha distrutto il gioiellino avveniristico di Coroglio», Cammarota (difeso dagli avvocati Luca Capasso e Antonio Tomeo) è pronto a difendersi nel corso di un nuovo processo nel quale Fondazione Idis (rappresentata dal penalista napoletano Giuseppe De Angelis) è costituita parte civile. Ma ecco cosa suggeriscono i giudici della Suprema Corte. 

Indagini della scientifica (all’epoca era al lavoro il primo dirigente Fabiola Mancone), si parte da dati oggettivi per indicare precise responsabilità a carico del vigilante. Dagli inneschi del rogo che ha divorato in pochi minuti città della scienza: dieci litri di combustibile piazzati in modo sapiente in sei punti, in un tragitto che ripercorre il giro di perlustrazione che avrebbe dovuto compiere Cammarota. Impossibile non notarli, secondo la Cassazione, anche alla luce di un altro aspetto: il confronto tra l’imputato e un suo collega (un altro vigilante che funge da teste nell’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli). Proprio attraverso il faccia a faccia tra i due colleghi, è lo stesso Cammarota ad ammettere di aver compiuto il giro di perlustrazione. Quindi - insistono i giudici - come ha fatto a non notare quei sei inneschi di benzina disseminati sul suo tragitto?

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Altro punto controverso riguarda la storia dei codici di disattivazione dell’impianto antincendio. Secondo i giudici capitolini, Cammarota non poteva ignorare quei codici di disattivazione. E lo dicono ben tre colleghi dell’imputato, che ribadiscono un concetto: «Eravamo tutti a conoscenza dei codici dell’impianto antincendio», che - come è noto - furono trovati disattivati, un gap tecnico che ha inevitabilmente rallentato l’inizio dei soccorsi, vanificando ogni possibilità di spegnere le fiamme a Coroglio. Chi ha disattivato il codice antincendio? 

È una voce che gli inquirenti chiedono di valorizzare, forse l’unica testimonianza disinteressata raccolta nel grande silenzio della notte napoletana, in quell’ormai remoto quattro marzo 2013: è la voce di un pescatore che sta rientrando a casa, lì nella baia di Coroglio. Non resta a guardare, ma lancia l’allarme. Sentito dai pm Michele Del Prete (oggi alla procura nazionale antimafia) e dal pm anticamorra Ida Teresi, il pescatore conferma un dato: dal mare, non venne ravvisato via vai esterno al museo, nessuna sagoma vista sul lato della spiaggia, quanto basta a confermare - nell’ottica della Cassazione - un ruolo decisivo del vigilante, unico ad avere il controllo dell’ingresso principale della struttura. 

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