Comune di Napoli, il giudice nega gli arresti dei funzionari: non ci sono prove

Comune di Napoli, il giudice nega gli arresti dei funzionari: non ci sono prove
di Leandro Del Gaudio
Domenica 12 Giugno 2022, 08:30
3 Minuti di Lettura

Non dovevano rimanere fermi alle intercettazioni telefoniche e ambientali. Lo scrive a chiare lettere il gip del Tribunale di Napoli nel rigettare le conclusioni della Procura, a proposito di alcuni funzionari comunali. In quattro pagine, il giudice Marco Giordano ha rigettato la richiesta di arresti (ai domiciliari) a carico di funzionari ritenuti responsabili di un'ipotesi di turbativa d'asta, a proposito di alcuni lavori dell'asse costiero orientale. Parliamo del restauro di via Marina (dal ponte dei Granili a Sant'Erasmo fino al porto), ma anche di alcuni interventi di riqualificazione sulle stesse banchine. Secondo la Procura, un gruppo di indagati (tutti esponenti di Palazzo San Giacomo) avrebbe favorito sempre lo stesso cartello di imprese, in uno scenario dal quale - almeno come spunto investigativo - sarebbero emerse anche ipotesi di tangenti.

Stando al gip, le intercettazioni sarebbero inutilizzabili. Sono gli effetti della cosiddetta sentenza Cavallo, che pone steccati sull'uso delle intercettazioni. Niente pesca a strascico - spiegano gli ermellini - impossibile utilizzare le intercettazioni per una richiesta di arresto, in mancanza di altri elementi probatori. Una vicenda approdata venerdì al tribunale del Riesame, dal momento che - dopo il no agli arresti da parte del gip -, la Procura ha firmato un appello per ribadire le proprie ragioni: sì alle misure cautelari, le prove sono agli atti. Un braccio di ferro che conviene raccontare, ovviamente in attesa delle decisioni che verranno assunte dai giudici del Riesame: sotto i riflettori i fratelli imprenditori Pasquale e Mariano Ferrara; Umberto e Vincenzo Ianniello; poi la funzionaria Simona Fontana, i manager Michele Grassia, Alberto Limatola, Francesco Mattiello, Sandro Pietrafesa, Giuseppe Vergara e Giuseppe Pulli (ex dipendente comunale in pensione). Soggetti che vanno ritenuti estranei alle accuse fino a prova contraria, in una vicenda che ruota proprio sul ruolo delle intercettazioni in un processo nato per contrastare i clan, per poi passare a verificare condotte di colletti bianchi e esponenti di pubblica amministrazione. Una storia nata sul ruolo di Francesco Mazzarella, soggetto in odore di camorra, poi culminata nell'inchiesta sul patto tra clan, con tanto di arresti per presunti affiliati.

Da questa vicenda, seguendo il filo delle conversazioni intercettate, si mette a fuoco il ruolo di alcuni imprenditori e funzionari pubblici, che finiscono sotto inchiesta per reati (non aggravati) di corruzione e di turbativa d'asta. 

 

Un salto investigativo bocciato dal gip, proprio alla luce della sentenza Cavallo, che impone ai pm verifiche autonome rispetto alle intercettazioni, quando ci si trova di fronte a ipotesi di reato nuove rispetto alle accuse in materia di camorra da cui è nato il fascicolo. Scrive ora il giudice: «L'inevitabile conclusione è che, nella vicenda in esame, deve ritenersi operante il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate, sicché sono inutilizzabili; sarebbe stato in realtà necessario che, acquisita, sulla base dei risultati delle captazioni de quibus, la notizia criminis dei reati in oggetto di provvisoria contestazione, si fosse proceduto, oltre che alla loro pedissequa iscrizione a carico di soggetti già identificati o da identificare, a richiedere titoli autorizzativi espressamente riferiti a dette ulteriori notizie di reato». Difesi, tra gli altri, dai penalisti Claudio Botti e Saverio Senese, tutti i soggetti coinvolti puntano a dimostrare la correttezza della propria condotta nel corso del procedimento. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA