Coronavirus a Napoli, folla nelle mense della Caritas: «Dateci le cuine da campo»

Coronavirus a Napoli, folla nelle mense della Caritas: «Dateci le cuine da campo»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 20 Marzo 2020, 08:30
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Una lettera inviata a Palazzo San Giacomo per denunciare la situazione d'allarme in cui si trovano le mense Caritas della città. La firma è del coordinatore, Giovanni Scalamogna, un diacono fortemente impegnato sul fronte della solidarietà. Benché i volontari ce la stiano mettendo tutta per non interrompere il servizio, se si va avanti di questo passo la sospensione dell'attività di assistenza sarà inevitabile. Da quando è scoppiata l'emergenza coronavirus i pasti caldi sono stati sostituiti con i cestini all'interno dei quali vengono messi due panini imbottiti e una bottiglietta di acqua: una procedura attuata per evitare le lunghe tavolate e, dunque, la eccessiva vicinanza tra un ospite e l'altro. Ma non basta. «Mantenere l'ordine, e la distanza di sicurezza, quando gli ospiti sono in fila per ritirare il loro sacchetto, è praticamente impossibile - spiega Scalamogna - anche perché, in questa fase di allarme, gli indigenti sono triplicati». Ad oggi, infatti, i poveri che bussano ogni giorno alle porte delle mense Caritas sono mediamente 1350/1400 al giorno, senza considerare i circa 2500 clochard abbandonati sotto i portici.
 
 

«La situazione è al collasso - aggiunge il diacono - nella mia lettera ho anche sottolineato la necessità di lavorare in sicurezza e, soprattutto, ho chiesto l'intervento dell'esercito: abbiamo bisogno di aiuto. Non possiamo tollerare assembramenti pericolosi in un momento in cui si raccomandano le distanze, e nemmeno vogliamo mettere a rischio la nostra salute». E infatti sono già tre le mense costrette a interrompere del tutto il servizio. Quella di San Tarcisio, a causa di una vera e propria rivolta messa in atto dai residenti del quartiere preoccupati per la quantità di clochard che, nonostante le disposizioni governative, continuava ad ammassarsi nei pressi della Caritas in attesa del cestino. E poi, stop al servizio - anche qui per «mancanza dei requisiti di distanza di sicurezza» - presso la mensa di San Francesco e Santa Chiara. Niente da fare pure a Gianturco dove è tutto fermo per la indisponibilità di suor Chiara che gestiva la preparazione dei pasti: «Nonostante tutto sono ancora quindici le mense operative - aggiunge il diacono dei Ponti Rossi - ma se non si trova una soluzione in tempi rapidi davvero non so come faremo. Senza contare che, ogni giorno, siamo in campo con attrezzature di protezione inadeguate. Ho visto volontari indossare mascherine preparate da loro in maniera artigianale, pezzi di stoffa poggiati sulla bocca per cercare di proteggersi alla meglio. Così avanti non si va».
 

La Caritas diocesana - con il direttore don Enzo Cozzolino - una idea ce l'ha per provare a risolvere il problema degli assembramenti e, dunque, garantire la distribuzione dei pasti in sicurezza per tutti. Nella lettera inviata a Palazzo San Giacomo dal coordinatore Scalamogna si chiede - con l'aiuto dell'Esercito o dei Vigili del fuoco, o della Croce rossa - l'installazione di vere e proprie mense da campo: «Pensiamo a quelle tende che vengono montate in emergenza quando si verificano eventi come il terremoto - spiega il diacono - ne basterebbero un paio da allestire in qualche piazza, insieme con le docce di cui pure ci sarebbe un grande bisogno. Il servizio è venuto a mancare completamente da quando è scoppiata l'epidemia». Un plauso, dunque, a tutti quei volontari che ancora resistono: «In particolare a padre Francesco Sorrentino della mensa del Carmine - conclude Giovanni Scalamogna - che sta lavorando in una condizione di estrema difficoltà. E grazie anche a Enrico Sparavigna del Binario della Solidarietà che a tutti i costi, anche con modalità alternative, sta cercando di tenere in piedi il servizio». 
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