Coronavirus a Napoli, gli occhi di Rossella: «Due tute e sei guanti, parlo con gli ammalati attraverso lo sguardo»

Coronavirus a Napoli, gli occhi di Rossella: «Due tute e sei guanti, parlo con gli ammalati attraverso lo sguardo»
di Melina Chiapparino
Giovedì 19 Marzo 2020, 08:00 - Ultimo agg. 13:08
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Maschera, tuta e guanti coprono tutto il corpo di Rossella Di Leva, irriconoscibile mentre indossa i dispositivi di protezione per il Covid-19. Da quando è esplosa l'emergenza, la 40enne napoletana, medico del 118 specializzata in Anestesia e Rianimazione, si è abituata a parlare con gli occhi ai suoi pazienti. «Le persone che andiamo a visitare non ci potranno mai riconoscere per strada ma sono sicura che non dimenticheranno il nostro sguardo - racconta la dottoressa - anche per noi è lo stesso, i loro occhi ci rimangono impressi nella mente». La visiera speciale che protegge parte del volto è trasparente e anche se all'inizio «la gente ci osserva come degli extraterrestri, dopo i primi incroci tra gli sguardi, i dispositivi ingombranti scompaiono e parlano solo i nostri occhi».
 

 

Prima di incontrare gli occhi dei pazienti, la vestizione di Rossella dura almeno un quarto d'ora ed è assolutamente necessaria per cominciare il turno di lavoro. «Appena arrivo al presidio Loreto Crispi, dove c'è la postazione della nostra ambulanza, indosso vari strati di dispositivi monouso sopra la tuta del 118 - spiega il medico di emergenza territoriale - mi infilo una seconda tuta, i calzari, un camice e una fascia di protezione per il collo, due mascherine, gli occhiali, la visiera e tre paia di guanti uno sopra all'altro». L'equipaggiamento per proteggere dal contagio è ingombrante e riduce movimenti e sensibilità, producendo una «sensazione di affaticamento fisico, lividi al volto e spesso irritazione degli occhi». Ogni turno, che nel caso della sanitaria dura 12 ore, prevede tante vestizioni, quanti i casi di Covid assistiti e alla fine di ciascun intervento è necessaria la sanificazione che viene effettuata sugli operatori sanitari e anche sul mezzo del 118 impiegato durante i soccorsi. «L'intervento si conclude con l'assistenza domiciliare oppure con il trasferimento dei pazienti più critici al Cotugno ma in entrambi i casi mi reco con l'equipe dell'ambulanza nel presidio Elena D'Aosta per la sanificazione» aggiunge Rossella che descrive come anche le operazioni per svestirsi debbano essere eseguite con la massima attenzione e precisione.
 

«Appena scendo dall'ambulanza, alcuni addetti specializzati mi spruzzano addosso un disinfettante dopo il quale mi reco all'interno di una tenda per svestirmi e buttare tutti i dispositivi monouso in contenitori speciali- spiega - così resto con la tuta del 118 pronta per andare a vestirmi nuovamente con altri dispositivi e ricominciare da capo». La media dei casi Covid-19 assistiti durante un turno di servizio può variare e, in casi di emergenza, si arriva persino a soccorrere più di sei persone alla volta. Una cifra molto alta se si considera che in media ci vogliono un paio d'ore per ogni intervento, considerando i tempi della prima assistenza domiciliare, del trasferimento eventuale del Cotugno e della successiva sanificazione. «Ieri abbiamo soccorso 4 pazienti affetti da Covid-19 e solo due sono stati i casi che hanno necessitato del trasferimento al Cotugno - racconta Rossella - la media delle persone aveva più di 60 anni, mentre uno dei tre era un ragazzo di 25 anni che però aveva una sintomatologia molto blanda per cui abbiamo indicato il ricovero domiciliare». A fine turno, con i lividi sugli zigomi e il volto segnato dalla mascherina, Rossella è tornata dal figlio che non nasconde l'ammirazione per una mamma «che salva le vite umane» ma neanche la «paura di perderla». «Non ho paura perché sono un medico e ho la consapevolezza che il nostro mestiere comporta dei rischi - conclude Rossella - però non riesco più a dormire serena al pensiero di mio figlio che aspetta una videochiamata per sapere che tutto è a posto». 

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