Covid in Campania, assistenza a casa in tilt: ecco tutti i nodi irrisolti

Covid in Campania, assistenza a casa in tilt: ecco tutti i nodi irrisolti
di Maria Pirro
Mercoledì 11 Novembre 2020, 09:00
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Dietro il sovraffollamento degli ospedali si nasconde una difficile organizzazione dell'assistenza domiciliare per i malati Covid, che si sentono abbandonati. A Napoli e non solo. Questo problema, probabilmente il più profondo, rischia di mandare in tilt il sistema sanitario, ed è dovuto a diversi fattori. Ecco i principali. 

L'editoriale di Federico Monga 

Si inizia dai medici di famiglia, primo punto di riferimento. «Non tutti collaborano», ammette Pina Tommasielli, referente della categoria in Regione e componente dell'unità di crisi, e ai colleghi chiede uno sforzo in più. «Ma ciascuno di noi ha 200-250 contatti giornalieri da pazienti colpiti dal virus e no: è evidente che non possiamo dare una risposta a tutti gli assistiti», allarga le braccia Luigi Sparano, segretario del sindacato Fimmg a Napoli, che sottolinea anche i rischi di contagio più alti, se è necessario garantire le prestazioni a casa.

Per questo, ci sono le Usca, unità speciali che effettuano i tamponi, e da poco sono istituiti team Covid nel capoluogo: 194 positivi seguiti a domicilio su 20323 (ma 5.963 asintomatici) indicati complessivamente nel report dell'Asl aggiornato al 9 novembre. «Noi non riceviamo, tuttavia, comunicazione degli interventi effettuati e delle terapie avviate», fa notare Sparano, che segnala così un'altra questione da prendere in esame per una migliore presa in carico. «E il servizio va potenziato: subito serve almeno un'altra auto in dotazione. Più cinque infermieri dedicati», aggiunge Tommasielli.

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Anche a Pozzuoli, a Giugliano e negli altri Comuni di competenza dell'Asl Napoli 2 Nord sei vetture non bastano, sette sono in officina per installare dei pannelli tra i sedili e accendere così i motori. E, nell'area flegrea e domizia, da domenica scorsa il modello organizzativo è cambiato: ai medici di famiglia permette di fare direttamente una segnalazione online alla centrale che gestisce le richieste di cure, 250 avute in tre giorni (di cui 170 interventi programmati, 82 effettuati). Individuate Usca per tutti i distretti, di cui otto anziché tredici operative oggi. E, a regime, nelle zone più grandi, sono previste più équipe, anche specialistiche, dotate di un ecografo a bordo per poter effettuare una diagnosi sulla compromissione dei polmoni. Ma, per gli accertamenti, è in corso la formazione dei camici bianchi. «A Napoli città è stata pubblicata una manifestazione di interesse per eseguire pure le radiografie», aggiunge Tommasielli, indicando un'altra ragione che al momento rende necessario il trasferimento in una struttura sanitaria. Ma il vero problema resta la carenza di personale qualificato. 

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Gennaro Sosto è il direttore generale della Asl Napoli 3 Sud ed elenca i posti messi a bando e rimasti vuoti: «Quindici al pronto soccorso e nell'emergenza, per due volte non si è fatto avanti nessuno, e così scorrendo la graduatoria della medicina interna. Trovare un anestesista è un dramma, e anche pneumologi: nemmeno uno dei trenta contattati ha accettato di prendere servizio». Altri concorsi sono in corso, «perché non è possibile garantire un secondo livello di diagnosi e terapie senza professionisti».

Qualche esempio per capire. Nell'area vesuviana e nella penisola sorrentina, si contano 400 malati Covid (su 4300 circa) seguiti a domicilio, dopo che i medici delle Usca hanno provveduto a installare dispositivi di controllo da remoto per monitorare i principali parametri vitali, dalla saturazione di ossigeno alla frequenza cardiaca. «Ma i neolaurendi che provvedono a questo non hanno l'esperienza necessaria per utilizzare attrezzature come le sonde da collegare a un iPad», chiarisce il manager, spiegando perché non resta che il trasporto in ospedale, quando i sintomi si aggravano. E, anche nel territorio di sua competenza, sono insufficienti le dodici postazioni fisse per eseguire i tamponi e sei squadre in camper già operative. 

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«Un obiettivo è portare a dodici le unità mobili in modo da raddoppiare le prestazioni garantite dalle 8 alle 20, ma anche in questo caso non è facile reclutare risorse». Non solo. Qui i medici di famiglia non hanno un rapporto diretto con le Usca, ma mediato dai distretti sanitari: il passaggio di consegne inevitabilmente rallenta l'iter della diagnosi e delle cure, e non favorisce la coesione, ma Sosto lavora a un protocollo da sottoscrivere a stretto giro. «Di notte, non resta invece che chiamare il 118», afferma il direttore generale, riconoscendo che la guardia medica (oggi, più tecnicamente, si parla di servizio di continuità assistenziale) non è coinvolta nella gestione dei pazienti Covid. E non è detto nemmeno che l'ambulanza arrivi immediatamente. A Napoli ce ne sono 18 in funzione, la mattina, e 15 inserite nel turno serale. Altre quattro, acquistate dalla Asl, sono inserite in altri circuiti, perché per attivarle serve altro personale. «Cinque medici, cinque infermieri e cinque autisti per ogni mezzo», è il dato reso noto da Giuseppe Galano, responsabile della centrale operativa e presidente del sindacato Aaroi-Emac in Campania. Senza considerare il record di telefonate, con tempi di attesa che inevitabilmente si allungano. Nemmeno l'ultima ragione che spinge tanti, troppi napoletani a raggiungere il pronto soccorso a bordo di ambulanze private e con la propria auto.

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