Cashback a Napoli, i negozi fanno muro: «Pos? No, sconto a chi paga in contanti»

Cashback a Napoli, i negozi fanno muro: «Pos? No, sconto a chi paga in contanti»
di Gennaro Di Biase
Sabato 12 Dicembre 2020, 23:00 - Ultimo agg. 13 Dicembre, 13:21
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«Cashback? Noi non aderiamo»: questa è la risposta data da 3 su 8 dei piccoli commercianti da cui abbiamo effettuato spese ieri in zona Corso Umberto e via Duomo a Napoli. Una borsa dell’acqua calda, una tazza con l’immagine di Insigne che esulta dopo un gol e una confezione di 6 calici da vino: piccoli acquisti, che raccontano però tantissimo sulla distanza che esiste, in questo Natale di crisi economica e pandemica, tra la realtà dei piccoli esercenti e l’iniziativa lanciata dal Governo del rimborso del 10% sugli acquisti fatti (fino al 31 dicembre e con un tetto di 150 euro) tramite pagamento elettronico. Tra i negozianti c’è anche chi, in cambio del pagamento in contanti, si offre di fornire «un piccolissimo sconto», trasformando di fatto, per il consumatore, il cashback in “cash”, in uno sconto diretto all’acquisto. 

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Commissioni e costi di gestione, bisogno di liquidità, differimento dei pagamenti: a parte l’evasione fiscale, tanti temi tirati in ballo dal cashback influiscono sulla diffidenza mostrata dai piccoli negozianti verso l’iniziativa. Ovviamente, c’è chi commette un’irregolarità e non ha il Pos (obbligatorio dal 2019) o rifiuta il pagamento elettronico con una scusa. È il caso di due negozietti in via Longo e in via Settembrini, a ridosso Porta San Gennaro. «Cashback? Ma che dobbiamo farci? Noi vendiamo cose piccole, mica possiamo pagare anche una commissione su incassi così miseri? Da noi spendono tanti anziani – si giustifica una titolare gentile e a sua volta anziana – Mi regolerò diversamente, ma dovrebbero abbassare le commissioni bancarie. Altrimenti non riusciamo a sopravvivere. La borsa d’acqua calda costa 5 euro, non possiamo mica rimpicciolirci tanto per fare incassare i potenti?». «No, non accettiamo il pagamento con Pos – dice un altro titolare – 6 euro in contanti, oppure non posso vendervi i calici, mi spiace». 
Più particolare, invece, la posizione di Assunta Paone e Aldo Montanari, commercianti di via Duomo: «Noi non abbiamo proprio aderito al cashback», avverte lei. «Abbiamo il Pos e potete pagare la tazza con la carta di credito – aggiunge lui – Ma senza cashback.

Inoltre nel weekend le banche non accreditano i soldi sui conti correnti, quindi a noi il pagamento arriverà lunedì». 

 

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Non sono previsti costi aggiuntivi per i commercianti che aderiscono al cashback, ma esiste una differenza tra l’adesione al rimborso del 10% e la regolare accettazione del pagamento elettronico. «Per aderire al cashback serve fare una procedura – chiarisce Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Campania – Il negoziante deve cioè registrare il proprio Pos nel sistema dell’Agenzia delle Entrate, che registrerà a sua volta ogni operazione nella banca dati da cui poi verranno estratti gli scontrini vincenti della lotteria. Quindi i commercianti, aderendo al cashback, consegnano tutti i loro dati all’Agenzia delle Entrate: in parte la diffidenza verso l’iniziativa deriva da questo. Ma si tratta soprattutto di un problema di deficit culturale: il mondo sta entrando nell’ottica dell’utilizzo quasi esclusivo di monete elettroniche ma i negozianti, apprendendo dell’iniziativa in tv, non ne hanno compreso bene i passaggi. Molti imprenditori, soprattutto i piccoli, preferiscono il contante: siamo in un periodo di difficile sopravvivenza per le attività. Oggi un Pos costa almeno dai 50 ai 150 euro mensili, a seconda del tipo di dispositivo. La commissione sulla singola operazione dipende dalla banca: da 0,50 a 0,90% per i bancomat, 1,10% a 1,90% per le carte di credito. American Express arriva al 3%. Per agevolare la diffusione del cashback, il governo avrebbe dovuto abbassare le commissioni, ma non è successo. Su una borsa per l’acqua da 5 euro, per esempio, un commerciante ricarica il 10%: incassa 50 centesimi. Col Pos si perdono 15 centesimi di commissioni. Perciò spesso capita il piccolo sconto, e il cash back diventa cash, cioè uno sconto diretto sulla merce». 

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A parte la «diffidenza sulla comunicazione dei dati», la questione dei costi resta decisiva per spiegare la freddezza degli esercenti, specialmente in un momento in cui, con la crisi pandemica, la liquidità è centrale. A sottolinearlo sono gli stessi commercialisti partenopei: «Piccoli imprenditori e commercianti sono stanchi delle promesse del Governo che si era impegnato, già prima del Covid, ad abbattere le commissioni relative alle carte di credito, di debito e alle app – spiega Vincenzo Moretta, presidente dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Napoli – Purtroppo, tutti gli impegni sono stati disattesi e i microimprenditori si trovano gravati di ulteriori oneri. Questa emergenza economica non ha precedenti e la sensazione è che le istituzioni abbiano abbandonato i commercianti a se stessi. Il cashback e la lotteria degli scontrini favoriranno i consumi, ma a pagare le commissioni saranno sempre e solo i commercianti. In Italia la quota media a carico degli esercenti sulle transazioni è tra l’1 e il 2%, e la contrazione degli acquisti varia tra 50 e il 70%: l’emergenza sanitaria e le relative cig hanno fatto crollare il potere d’acquisto».

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