Coronavirus a Napoli, Cimmino jr: «Mia figlia è appena nata ma sono rimasto a Milano»

Coronavirus a Napoli, Cimmino jr: «Mia figlia è appena nata ma sono rimasto a Milano»
di Cristina Cennamo
Lunedì 23 Marzo 2020, 09:00
6 Minuti di Lettura
A Milano per scelta oggi come ieri. Gianluigi Cimmino, ceo di Pianoforte Group leggi i brand Yamamay e Carpisa, nel capoluogo lombardo si è trasferito anni fa per lavoro. Ed oggi, pur avendo la possibilità di tornare a Napoli ha scelto di restare lì, in quella Milano che nell'immaginario collettivo è sempre stata la celebre città da bere e che oggi, invece, è deserta. Una scelta certo non facile, soprattutto se si considera che appena pochi giorni fa in casa Cimmino è arrivata Maria Sol: la secondogenita dell'imprenditore, nata in un ospedale milanese nel bel mezzo della pandemia.

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Partiamo dalle belle notizie. Pochi giorni fa lei è diventato padre per la seconda volta. Un'esperienza magica per qualsiasi coppia, ma che forse in questo caso avrà comportato qualche timore.
«Si, mia figlia è nata la settimana scorsa con parto naturale all'ospedale Mangiagalli, un ospedale pubblico che avevamo già scelto in precedenza, un'ottima struttura. La prima cosa che posso dire è che pur avendomi permesso di stare in sala parto per assistere non mi è stato invece concesso di restare in camera con la mia compagna Sibilla, cosa che invece si fa sempre. Ho avuto solo il tempo di vedere la bambina e farci una foto noi tre da mandare agli amici e soprattutto ai nonni, che pure non hanno potuto vedere la loro nipotina. Dopodiché sono tornato a casa dove in ogni caso avevo l'altro figlio di due anni, che certamente non potevo lasciare solo tanto più che, appunto, non potevo contare sull'aiuto dei nonni che magari in una situazione normale si sarebbero dati il cambio. A quel punto abbiamo cominciato a contare i giorni: quando Sibilla e Maria Sol sono tornate a casa non nego che ho tirato un sospiro di sollievo».

Ma non ha avuto paura a far partorire sua moglie in un ospedale a Milano, in questi giorni?
«Certamente, anzi a dirla tutta io ero molto preoccupato. Ma lei invece è stata molto più coraggiosa di me, l'ha presa di petto ed è andata dritta. Alla fine è andato tutto bene».

Non ha paura, per di più con un neonato, a restare a Milano?
«Voglio essere molto chiaro soprattutto per i tanti amici di Napoli che mi leggeranno: sì, ho avuto ed ho paura, molta paura. Soprattutto perché ho due bambini a casa, di cui sono ovviamente responsabile. E se la vogliamo dire tutta, avrei potuto decidere di tornare a Napoli, certo, ma anche di prendere la mia famiglia ed andarmene in Svizzera, dove ho una casa e dove magari avrei anche potuto far partorire mia moglie».

Ma non l'ha fatto.
«No, no l'ho fatto. E non solo perché qui a Gallarate abbiamo l'azienda. Non l'ho fatto, in primo luogo, perché a mio avviso tutti quelli che sono corsi giù hanno fatto una brutta cosa: per se stessi ma anche per la città che ogni giorno accoglie tutti ma che in questo caso andava tutelata. È stato un gesto vile, io e la mia compagna abbiamo scelto di restare qui sia per restare vicino all'azienda ma soprattutto perché io stesso mi sarei sentito un vigliacco ad andare via. E poi, cosa di non minore importanza, mi sarei sentito a disagio sapendo di rappresentare un potenziale rischio per i residenti del luogo in cui stavo andando: potevo star portando il virus a chi non l'aveva, non si fa».

Come si vive oggi a Milano?
«Con molta paura. E non è solo per via delle restrizioni. Faccio un esempio molto pratico: chi conosce Milano sa che la sanità lombarda è sempre stata il top non solo in Italia ma anche forse in Europa. Qui tutto ha sempre funzionato benissimo, non a caso tanti da Napoli venivano a farsi curare a Milano. Ebbene, sentire ogni sera l'assessore regionale alla sanità che ti dice in televisione che i posti letto sono pochissimi, che le strutture sono al collasso, che gli ospedali non ce la fanno, beh lasciatemi dire che fa impressione. Quello che si avverte è un senso di angoscia, di qualcosa di impensabile fino a pochi giorni fa quando parco Sempione era ancora animato, poi è stato un graduale chiudere tutto e finalmente in questo fine settimana la gente ha capito. Io vivo a Cadorna, di qui si prende il treno anche per andare a Malpensa e in genere il via vai di gente è frenetico, oggi sono sceso per andare in farmacia e non c'era nessuno».

Una vita in trincea quindi?
«La trincea sarebbe il meno. La quotidianità milanese, ormai, è ormai la stessa del resto d'Italia, più o meno. Quel che però cambia è l'ansia costante anche solo di potersi far male e di non poter più contare su servizi eccellenti ed efficientissimi a cui prima eravamo abituati: un'ambulanza a Milano prima arrivava dal paziente in dieci minuti, oggi ci mette un'ora. E questo significa che se ti fai male non hai più la certezza di essere curato tempestivamente. Così, ad esempio, io oggi dico a mia moglie di non far correre il bambino in casa perché ho paura che possa cadere e farsi male. Abbiamo perso la sensazione di sicurezza che avevamo prima».

Quanto incide, su questa percezione, l'avere conoscenza diretta di persone colpite dal virus?
«Moltissimo. Ad esempio il medico di famiglia di mia sorella, che vive a Busto Arsizio con i miei genitori, l'ha contratto ma ne è uscito bene mentre un suo collega non ce l'ha fatta. Chiaramente questi professionisti sono molto esposti, e vanno ammirati. Ieri ho saputo di una persona che conosco per lavoro che a Gallarate non ce l'ha fatta, e pure mi ha colpito molto: quando lo senti in televisione è diverso da quando colpisce persone che conosci bene. La sensazione che abbiamo oggi a Milano è che la periferia sta esplodendo, tra Bergamo e Brescia possiamo dire che ormai tutta la cintura metropolitana è in grave crisi. E chi vive dentro la città, magari nel centro, si comincia a sentire accerchiato, hai la sensazione che il virus si stia avvicinando sempre di più ed è una brutta sensazione».

Lei tra l'altro per il suo lavoro ha rapporti frequenti con la Cina?
«Certo, e per di più sono tornato dall'ultimo viaggio il 24 gennaio, quando in Italia ancora non era scattato l'allarme mentre la Cina era nel pieno dell'emergenza. Non ho avuto problemi con i voli, e non mi è stato chiesto di osservare la quarantena. Ma francamente avendo famiglia ed essendo ben consapevole di essere a rischio mi sono fatto di mia spontanea volontà tutte le analisi del sangue di base. Chiaramente non il tampone, ma almeno quelle di routine perché ho pensato che nel caso qualche valore sballato sarebbe emerso».

E in Cina che sensazione aveva avuto?
«Non sono un medico ma voglio azzardare un confronto: in Cina come qui a Milano l'aria è molto inquinata, tra gennaio e febbraio qui non ha mai piovuto quando respiravi sentivi quasi la gola che ti bruciava. Ad Hong Kong invece ci sono stati meno casi, forse anche per la ventilazione. Quindi spero che l'ara più pulita e la ventilazione costiera aiutino la mia città».

Le manca Napoli?
«Manca a tutti, manca molto a mio padre che era avvezzo a tornare a Napoli ogni volta che lo desiderava. Adesso invece sono stato costretto ad affrontarlo anche duramente, per fargli capire che deve stare chiuso in casa e non deve uscire neanche per fare la spesa: la settimana scorsa sono andato io al supermercato per tutti, sia per casa mia che per casa sua, e gli ho lasciato le buste sull'uscio senza entrare. Del resto lo capisco: a Busto Arsizio ha una bella casa, certo, ma quando apre le finestre si affaccia su un pozzo e non certo sul Golfo di Napoli, con il Vesuvio davanti».
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